Metrica: interrogazione
873 endecasillabi (recitativo) in Faramondo Venezia, Nicolini, 1699 
                                             Moro e ti chiede
l’ultima sorte mia sangue e non pianto.
                                       L’avrai, tel giuro.
Uditemi, o del cielo, o de l’Averno
numi temuti, odimi, o Stige, a Giove
nome ancor sacro, e tu, bell’alma, ancora
esci più tarda e ’l giuramento ascolta.
col sangue suo. Lo seguirò spietata
de’ suoi giorni o de’ miei fatal momento.
Rosimonda, già udii; moro contento.
Sveno, Sveno! Ei spirò. Già tutto passa
nel mio seno il furor. L’infausto oggetto
de l’ira mia... Ma che mi giova un giusto
impotente furor? Già Sveno ucciso,
la città presa, il genitor lontano,
                              Sinché abbia spirto e vita
del mio sen farò scudo a Rosimonda.
                     Tanto ne l’ira? Olà, soldati,
gettinsi l’armi; e tu, guerrier, se a sdegno
non hai la vita, ei te la lascia in dono.
Un re ti salva e Faramondo io sono.
                        Gran re de’ Franchi...
                                                                 A me quel ferro, (Avanzandosi)
che del sangue real sol reso ingordo
barbaro Faramondo, a me rivolgi.
una parte di Sveno. In Rosimonda
                               (Impallidisce).
                                                             E quando,
andarsi a dissetar l’aste boemme?
Dillo, spietato. Alma a le stragi avvezza
de la sua crudeltà non ha rossore.
(A fronte di quegli occhi io perdo il core).
Parla; che dir potrai? Che t’ha costretto
di Rosimonda e di Gustavo a’ danni
compisci i tuoi. Fa’ pur ch’io cada esangue.
Non puoi dargli il mio cor; dagli il mio sangue.
Principessa, son reo. Ma reo pentito.
cercar discolpa; e se l’avessi ancora,
la tacerei, per non lasciarti ingiusta.
soddisferò la tua vendetta almeno;
forse con l’odio tuo l’ombra di Sveno.
                            Sì, la tua morte i’ chiedo;
ma la chiedo al mio cor, non al tuo braccio.
senza pena mirar più non mi lice.
quel riposo che resta a un’infelice.
                                         Deh. se ti prende
pietà delle mie pene, a Rosimonda
vanne e in dirle il mio duol servi al suo sdegno.
la libertade e ’l regno? A questa sola
speranza vivo; e nel martir che sento,
Rosimonda a lei deve un gran contento.
Siam soli, o cor. Dimmi, che affetto è ’l tuo?
che giurò la tua morte, a che t’invogli?
non è più ’n tuo poter, misero core.
Quando è destin, non è delitto amore.
Tuo rival senza speme e senza voti
di pietà più che d’ira. E benché il seno
tanto affanno a soffrir sia troppo angusto,
misero lo vedrai ma non ingiusto.
prima dovea la libertade e ’l regno.
Oggi devo assai più. Devo l’acquisto
                             In tuo poter, Gernando,
l’armi e ’l fato l’han posta. Il più ti resta
ora a compir. Devi espugnarne il core.
Lo faran mio necessitade e amore.
In cor plebeo sveglia la tema affetti,
odi in alma real. Gernando, amico,
del tuo core e del mio, se amor tu cerchi
                                Tenta placarne il duolo,
                La libertà rendile e ’l regno.
                                                 Il so, Gernando,
crudel sembro e son giusto. O qual poc’anzi
non t’invogli il desio. Ripara a tempo
generoso i suoi mali; e men che puoi
colpevol ti presenta agli occhi suoi.
che non tentai? Che non soffersi? Il regno
torni de’ Cimbri al suo signor; gliel rendo;
di Rosimonda? Amico, o tu ti penti
de l’antica amistade o tu mi tenti.
leggi manchi quest’alma. Aver mi duole
                                              Ah Faramondo,
dubito de’ tuoi casi e intendo i miei.
O tu nemico o tu rival mi sei.
                  Ti turbi?
                                     Io l’amo; a che niegarlo?
Ma l’amo d’un amor che non t’offende.
più non vedrolla; il giuro a’ numi e ’l giuro...
Non dà fede quest’alma a cor spergiuro.
                                       Leggi non prendo
da un mio rival. Già da quest’ora obblio
un’amistà che hai tu primiero infranta.
più rossori il pensier, più pene il core,
ti lascio in libertà di non amarmi.
anche in onta d’amor. Nulla ti chiedo
                                                Il prezzo
                                              Addio, Gernando.
Vo’ doverla al tuo cor, non al mio brando.
Va’ pur; prevenirò gli empi disegni.
Col tuo morir mi si assicuri un dono
piacerà a Rosimonda; e una vendetta
saprà forse ragion farmi in quel core.
non men che a l’odio suo serva al mio amore.
Del tasso infausto e del feral cipresso
si alimenti la fiamma. Ecco da l’urna
misto col sangue; indi la destra e ’l ferro
nel seno immergo e ’l cor ne getto al foco.
Popoli, figlio, in basse note e meste
d’un re, d’un padre il sacrifizio e i voti.
(L’infelice amor mio vi versa il pianto).
Ascolta, o dagli Elisi, ove passeggi,
ombra ancor sanguinosa, ancora inulta,
ciò che a quest’ara, a questo nume io giuro,
padre, re, sacerdote, ascolta, o figlio.
l’ombre flagelli e se’ di pianto e d’ira
severa, inesorabile ministra,
la face irrita, il ferro scuoti e attento
porgi l’alto tuo nume al giuramento.
Al crudel Faramondo, a chi m’uccise
perpetua guerra, orrida morte io giuro.
Cada l’empia cervice e penda il capo
da fatal asta, orrido oggetto agli occhi
de la plebe minor; l’ossa insepolte
e a le ceneri sue l’urna si nieghi.
Già da quest’ora l’uccisor felice,
tronchi dal busto e a me la rechi in dono,
le nozze, il giuro, e avrà de’ Cimbri il trono.
Tu giuri l’altrui morte e vuoi la mia.
manca la degna vittima; io la reco.
                             E del suo sangue ha questa
non poca parte. Ella è Clotilde.
                                                         (O dio!)
                                         (E l’idol mio).
Prigioniera poc’anzi entro al suo campo
da la vittoria sua reso men cauto.
Qui la guida, Teobaldo; il sacrifizio (Teobaldo parte)
piacque a la dea. L’ombra di Sveno attende
Ed è vero, o signor? Che di crudele
volgi ne l’ira tua? Sangue innocente
Sorella a Faramondo ha una gran colpa,
                                     Nel minor sesso
                             Quand’ella è giusta
                                            Ah del nemico
Rosimonda è in poter. Potrà su lei
con l’amor di Gernando uomini e dei.
Padre, re. Se il mio pianto...
                                                    Invan tu cerchi
salvar Clotilde; il so che l’ami, Adolfo,
e ’l tuo amor la fa rea d’un’altra e forse
non minor colpa. Olà, ministri, il fuoco
si purghi e l’ara. Assai più degna è questa
                                    S’ami ch’io viva,
                                Clotilde mora.
Mora Clotilde pur. Nulla mi arriva
improviso il morir. Dal primo istante
tutto il previdi e men feroce il resi
con mirarlo da lungi; ecco, Gustavo,
ti presento il mio sen, ti faccio core.
che il piacer non avrai del mio timore.
giovi l’ombra a placar. Se gli anni e ’l sesso
sarò il ministro, io darò il colpo.
                                                           Iniquo!
Per tua mora Clotilde e ’l regal ferro
Cotesta tua pietade è intempestiva.
O mia sorte crudel! Clotilde viva.
Ah se in petto a Gustavo ira vien meno,
a me si serba il vendicarti, o Sveno.
tu di rischio, io di tema; e appena il credo.
giro di casi esser può mai che ’l core
per me serbi innocente? Avrai tu stesso
sparsi per la mia morte i voti al cielo?
turbare i regni e por sossopra il mondo,
non mai cangiarmi ’l cor, far ch’io non t’ami.
Di quell’amor, che mi giurasti un tempo
ne la mia reggia, un testimon più caro
rendimi in Faramondo. A tante spade,
                                        Con questo petto
gli farò scudo anche del padre ad onta.
fuggo la fatal vista. Adolfo, addio.
Serba a te in Faramondo anche il cor mio.
Perdoni a l’amor mio Sveno trafitto.
in ogn’altro è giustizia, in me delitto.
Pur giusto è l’odio mio. Chi lo disarma?
turba l’idea? Si oppone a’ voti? E parla
Che sarà mai? S’egli è pietade, è ingiusto,
vil s’è timor. Qualunque ei sia, da l’alma,
Rosimonda, il rigetta. O dio! Resisto;
tutta l’alma v’impiego; ed ei non tace.
Faramondo crudel, lasciami in pace.
l’ire sospendi. Io l’ho temute e volli
Da la man che li fece, i mali miei
e ’l rifiutano ancor. Per te, Gernando,
Rosimonda è cattiva e Sveno è morto.
Quel cui giova il delitto autor n’è ancora.
                                      E Faramondo
                    Già da quest’ora ei cadde
D’alorch’ei Sveno uccise, a te nemico,
E d’alor che te vide, a me rivale
anche il mio meritò. Col farsi ingiusto
poté farmi crudel. Ma nel suo sangue
cercai, più che la mia, la tua vendetta.
De l’amor di Gernando è degno il colpo.
Rosimonda, io te l’offro e tu l’accetta.
Che li gradisca? Anima ingiusta e vile,
di Faramondo e ne attendea la morte
ma non da te. L’onor tu mi togliesti
de la vendetta e tu m’accresci i mali
più d’ogni offesa un tuo favor m’irrita.
a chi t’abborre ancor togli la vita.
De l’ira tua... Ma qual rumore? O sorte!
Qual mia stella maligna il tolse a morte?
tu mi credesti o prigioniero o estinto.
trassi il piè da l’insidie. Han vinto i miei.
tutto è in mia mano e prigionier tu sei.
                             Fuggan gli Svevi; ancora
Solo a che impugni inutilmente il brando!
Tu mi volesti esangue ed io ti salvo.
Vanne, libero sei; per te non cesso
d’esser qual fui; tu m’odia, io son lo stesso.
Addio, core infedele. Accetto il dono,
sol per farti pentir del tuo perdono.
testimon del mio duol. Libera sei.
Con la tua libertà quella ti rendo
di questa reggia. Al genitor Gustavo
che oprar per te più non mi resti, il mio
sangue verrò ad offrirti. Al tuo riposo
(Ah che più non lo speri, anima mia!)
tua nemica mi rese. Il giuramento
mi confermò. Voglio il tuo sangue. A Sveno
non bastano a cangiarmi. O dio! Più tosto
Se mi fai più infelice, io son più giusta.
Se mi se’ più nemico, io son più forte.
Col darti libertà placar nol tento
né ti chiedo pietà. Bastami solo
Maggior tel mostrerei; ma temo in dirlo
ch’io t’asconda il piacer d’un mio tormento.
(O Sveno! O Faramondo! O giuramento!)
Agli occhi tuoi troppo funesto io sono.
questo forse sarà che tu mi vedi
o tornerò ma per morirti a’ piedi.
Qual nemico m’han dato in Faramondo
La sua virtù può meritar che ’l pianga,
non che ’l risparmi. Il giuramento è dato.
Si può vincer un cor ma non il fato.
han preso a lacerar due vari affetti,
d’amor per te. Quello il vuol morto e questo
più per te quel Gustavo. Assai diverso
m’ha reso il tuo coraggio e ’l tuo sembiante.
Mi temi re? Non disprezzarmi amante.
Se lusinga d’amor rattenne il colpo,
ritorni a l’ara. Amor, che d’odio è figlio,
si conformi al natal, segua il suo istinto.
la metà di quel cor che brami estinto.
de l’amor mio; ti fia più caro il dono
di tornarmi a irritar dopo un perdono.
Serba l’amore o torna a l’odio; hai preso
un’alma ad espugnar troppo costante.
il genitor chi è già del figlio amante.
                                             Adolfo t’ami.
io padre e re. Mi cederà il tuo core,
avrò il figlio egualmente e ’l genitore.
O suo disegno o suo destin qui ’l tragga,
da la città poc’anzi uscito, i suoi
                                   Il mio crudel nemico?
chiudete il varco. Al teso aguato ei cada.
guidi al campo Clotilde. E tu m’attendi
nemico e amante a più temermi apprendi. (Entra nel bosco co’ suoi)
              Clotilde.
                                Adolfo, ah tu mi salva
                                  In lui tu speri invano.
E chi serve in amor nulla paventi. (Entra nel bosco)
sol mi lasciate alquanto. I foschi orrori
par che facciano invito a’ miei dolori. (Lasciati in lontano i suoi soldati, egli va a sedere a’ piedi d’un albero)
                                 E chi me insulta?
                                                                   Il ferro
brami immergerli in sen? La strada è questa.
la tua gloria, signor. Un tradimento
vendicarti non dee del suo valore.
                            Figlio traditore.
lo circondano i suoi. Fatto è periglio
ciò che sperai trionfo. Iniquo figlio! (Adolfo gettandosi allato del padre)
scudo ti fui. Più non se’ solo. Or l’armi
volgo in altr’uso; e se feroce insulti
il regal padre, io lo difendo.
                                                    Adolfo,
né ingrato a te né a lui nemico io sono.
Il fui purtroppo. A te, Gustavo, ho tolta
una corona e a te la rendo. Feci
Rosimonda cattiva; ella è già sciolta.
Tu mi rendi, crudel, ciò che ben tosto
tormi i’ potea. Se ’l fai costretto, è ’l dono
necessità, se volontario, è tema.
risarcir tu mi devi. Eterna guerra
vedrò tronco il tuo capo; e Rosimonda
ne sarà il prezzo. E tu, infedel, più padre
non mi sperar. Dagli occhi miei per sempre
Temi il divieto; e se dal duro esiglio
con quel capo a lui torna; e sarai figlio.
                             Il mio crudel destino
Si sparge anco ne’ miei. Tu del suo sdegno
non farti reo. Lascia d’amarmi; è giusto
l’odio che chiedo. Io l’uccisor di Sveno,
il distruttor de le tue terre io sono.
o nemico in vendetta o amico in dono.
ne ha in ostaggio il mio cor.
                                                    Misera! O quanto
le toglie ne’ suoi ceppi iniqua sorte,
se te le toglie. Io per lei temo il cieco
Io più ’l suo amor. Ma le sarò di scudo.
                        Nol temo.
                                            Il re?
                                                         M’è padre.
A Clotilde si torni e amor nol cura.
Da l’esempio del tuo l’amor che ho ’n seno
mi chiama il fato. Entro a le tende in breve
Pace si renda e libertade a’ Cimbri.
vieto il seguirmi. E se nemica stella
mi vorrà morto, a l’amor vostro i’ chiedo,
che a l’autor si perdoni e a l’alma esangue
diate omaggio di pianto e non di sangue. (Partono le guardie)
d’alor che ti lasciai. Meco nel campo,
figlia, se’ più sicura, io più contento.
le stelle assolvo e i mali miei non sento.
darà più lena. Esser dovrai tu moglie
                                 Infauste nozze.
                                                               E prive
                                          Han quel d’Averno,
quel di Gustavo. A confermarle il core
                             (O iniqua legge!)
                                                               (O amore!)
                                  Il re de’ Svevi?
                                                                A sdegno
Venga; benché nemico, io l’assicuro
su l’onor mio, su la real mia fede.
l’odio tra noi. Tutto del franco a’ danni
s’armi più giusto. Egli del par ci ha offesi,
me ne l’amor. Dobbiam punirlo entrambi,
tu perché fu crudele, io perché infido.
io qui vengo ad offrirti e vita e regno.
che già sciolse l’amor, stringa lo sdegno.
                                     (Barbaro disegno!)
Dal tuo valor, Gernando, il capo attendo
Qual ne fia ’l prezzo, in Rosimonda il sai.
                                         Gernando, addio.
Sta nel tuo brando il tuo riposo e ’l mio.
tu devi il mio disegno. Io cerco in essi
                                         Empio, e lo credi?
                                        In Faramondo
Odio lui per destino; e tu nemico
per genio mio, per colpa tua mi sei.
abbominio te il cor, quello gli dei.
Men crudele i’ ti spero, alor che tronco
verrò ad offrirti; e di quel sangue a vista...
tu stesso il ferro. A satollar lo sguardo
vanne in quel cor, cui tanto devi, ingrato.
che per lui vivi. Il real capo attendo
più da la tua impietà che dal tuo brando.
Io vorrò, dopo il suo, quel di Gernando.
Gran re, dal tuo pensier non ti rimova
Segui a compirlo e sarà tua.
                                                    Teobaldo,
me la nieghi Gustavo, il mondo, il cielo
mi abborrisca nel colpo, io non mi pento.
Mora pur Faramondo e son contento.
                                         E tal t’abbraccio.
Serba, o ciel, la vendetta al nostro braccio.
                          Nel dar la morte a Sveno
quest’alma anche trafisse.
                                                 A lui d’un figlio
                                    Io?
                                             Già vicino,
era a cader. Di Faramondo il cenno
                                     No, Childerico,
egli m’ha ucciso e non serbato un figlio.
ti fa scordar che mi se’ padre! E rompe
le leggi di natura un cieco sdegno!
Quant’odio, Faramondo, arma a’ tuoi danni
era a temer; l’hai disarmato e vinto.
Faramondo è pur salvo; e al caro Adolfo
                                  E quella vita,
che Adolfo mi salvò, poco mi è cara,
                                        È sogno o inganno?
                                        Cessa, Clotilde,
                             Ma come! Tu fra’ Cimbri?
Nel campo di Gustavo! In braccio a morte
                                             Amore e sorte.
                                        E per placarla
mancan forse altre vie? Dal ciel le attendi
                                                   A lei nemico
viver non posso; e di vederla ancora
Questo solo desio per calli ignoti
quivi mi trasse. Io vo’ morirle a’ piedi.
ecco il tempo, ecco il loco; a’ voti arridi.
O troppo ne’ tuoi mali anima invitta,
fra que’ mirti ti ascondi. A noi fra poco
              Dolce speranza, ancor ti sento;
diamle fede, mio cor. Morrai contento.
m’abbia il braccio fatal tolto un germano,
qui non vengo, Clotilde, a te nemica.
tal mi renda anche a lui; né possa almeno
rendergli in te la libertà ch’io n’ebbi.
De’ casi miei cura ne prenda il cielo.
mi fan pietà. Ne l’odio tuo lo piango.
e pende il suo destin dagli occhi tuoi.
chiedo la morte sua, non la paventi.
se a l’onor mio, che posso dir? Crudele
mi vuole un giuramento, il padre e Sveno.
                                             E s’ei perdono
                                 Ah non tentarmi.
                                                                   Avresti
                        «Morir tu devi» alora
                                                  E mora.
                                     Sì, tu mi vedi,
Se nieghi fede al guardo, orché diverso
da qual pria mi vedesti a te ritorno,
a quel dolor che sul mio volto impresso
quasi ignoto mi rende anche a me stesso.
qui ti guida a morir? Qui dove ogn’alma,
A cercar questa morte a’ piedi tuoi.
                                          Eccoti il capo
che vuoi reciso. Eccoti il sen che aperto
Qui vi ricerca il core, unica sede
di quest’alma infelice, e lo trafiggi.
reo del sangue fraterno e qui lo immergi.
Tanti popoli invano e tante spade
s’armano a’ danni miei. Tu sola basti
Già d’allor che ti vidi, assai più fiera
nel mio sen principiata i tuoi begli occhi.
                                (Sento mancarmi il core
Che farò? Che risolvo?) Ah Faramondo,
qual duro passo è questo in cui mi getti?
ma un fratel m’hai trafitto. Aimè! Può farmi
un perdono spergiura e un colpo ingrata.
Ma poiché te infelice e me crudele
brami in onta del cor, sì, tu morrai.
E dal mio ferro or questa morte avrai.
O qualunque tu sia, vieni e m’uccidi.
ch’è in odio a Rosimonda e ch’io detesto.
Sì, mori, iniquo; il fatal colpo è questo.
Ferma, Teobaldo; io tel comando, io figlia
del tuo sovran, tua principessa. Avverti
pria del cenno real sugli occhi miei
                                              Aspro divieto.
                              Ubbidirò. Ti serba
a supplizio più infame il tuo destino.
                                        A ignobil man non cede
Eccolo, Rosimonda, a’ piedi tuoi.
Childerico, opportuno. Il re de’ Franchi
Nel mio soggiorno il custodisci; e a tutti,
Avrò ne l’alma il real cenno impresso.
Si avvisi il re. Crudel nemico, addio.
solo a farti morir per via più atroce.
Vendetta, che sia tarda, è più feroce.
paghi i tuoi voti e i miei. Son presso a morte;
né me ne duol. Ti prego sol che in essa
né venga ad agitarmi oltre la tomba.
l’infelice Clotilde e in lei sol ama
né ti chiede di più l’ombra di Sveno.
(Ah che se più l’ascolto il cor vien meno).
               Clotilde, Rosimonda, addio.
                                 Empio destino e rio!
non basta a soddisfarti? Ah tua vendetta
                                A che me preghi? Il padre
s’è da placar, tu ’l puoi, Clotilde.
                                                           Io vado.
Pregherò; piagnerò; per l’altrui vita
darò la mia, darò l’amor, quand’altro
non mi resti ad offrir. Mio caro Adolfo,
il destin, non il cor mi fa infedele;
a te sono spergiura e a me crudele.
che far si dee? Salvarlo? Onor mel vieta.
Ma lasciarlo morir, mel vieta amore.
Rosimonda, il men fiero e rendi ommai
o vita a Faramondo o pace a Sveno.
Faramondo è in catene e morir deve.
s’apra la scena; e mole tal s’innalzi
che Svevi, Cimbri, i numi stessi e i cieli
mio re, mio padre, a te ritorno.
                                                          E torni
Esequisti la legge? O riedi forse
per formar del tuo petto ancor riparo
cadranno a vuoto; e di tua colpa ommai
e padre e re vendicator m’avrai.
                                          Or farem prova
s’incateni il fellon. Sia questo il primo
gastigo al suo delitto. E che? Sì lenti
                                            Il regio sangue
ad insultar destra vassalla ancora
non v’è d’uopo, o signor. Mi vuoi fra’ ceppi?
                                     Ne le mie tende
                          Io vi precedo. Andiamo.
mi scorderò d’esserti padre.
                                                     E a vista
sempre a me sovverrà che son tuo figlio.
lagrimosa Clotilde e qual poc’anzi
tu intendi i voti. Io ne l’altrui ti chiedo
o la mia vita o la mia morte. O salvo
dammi il fratello o in me l’uccidi ancora.
condannar Faramondo e amar Clotilde?
tutto l’amore o tutto l’odio; e sia
men crudele il tuo core o men pietoso.
non hai tutti i tuoi mali. Adolfo è avvinto
L’un t’è fratel, l’altro t’è amante; e parla
per quel natura e a pro di questo amore.
e in me accresce i timori il suo periglio.
Ma alfin tu gli se’ padre ed ei t’è figlio.
No, denno ambi morir. Sveno mi chiede
posso usarti pietà. Se salvo il brami,
Clotilde, odi la legge: i’ ti vo’ mia.
Dammi fede di sposa e salvo e’ fia.
Che la destra i’ ti stringa, alor che calda
No, tiranno crudel. Se Faramondo
deve morir, mora anche Adolfo; io l’amo
nel delitto del padre. Adolfo mora;
sarà tua pena e mia vendetta ancora.
Qui se le guidi Adolfo. In questi primi
impeti del dolor mal si conosce
il più sano consiglio. Addio, Clotilde.
che salvar puoi, non trascurar. Più giusta,
il tuo e ’l mio cor da l’esser empio assolvi.
la vista del tuo amor. Pensa e risolvi.
                                          Mio caro Adolfo,
fecermi orror. La tua pietà temei.
sol per me tu sostieni. In tal periglio
ti gettò l’amor mio. Posso salvarti
quella son io che ti condanno; e sento
non è a quest’alma il più crudel spavento.
tu mi salvavi. In te quest’alma ho viva;
io chiuda col piacer de la tua fede,
che mia sperai. Morrò contento e solo
avrò duol che ’l mio sangue a trar non basti
Faramondo di rischio e te di affanno.
non ti plachi gli dei? Ma se altrimenti
stabilito han lassù, cara ti sia
figlio innocente in genitor tiranno.
Ed io son la crudel che ti condanno?
Clotilde, addio. Tu piangi e perch’è figlio
Il vedermi ti affligge e forse in seno
t’ispira una pietà per me funesta.
una morte che il salva in don ti chiede.
Se la vita gli dai, questa è tua colpa.
Ma se ’l lasci morir, questa è tua fede.
Empia Clotilde! Egli va a morte; e posso
io sospender quel colpo e pur l’affretto?
Ma che? Fede ad un empio? A chi mi niega
la vita d’un fratello e in lui m’uccide?
mora Adolfo e Clotilde; e si punisca
con la morte d’un figlio e con la mia.
Il rapir Rosimonda, il far Gustavo
                                              Darà le forze
Ma più facil sentier ti s’apre, o sire,
                                           E quale?
                                                              Il capo
                                        In quelle soglie
                                    E n’è custode il figlio.
T’accingi al fatal colpo. Ad un mio cenno
                     Cor mio, ti sveglia a l’ire.
Eccol. Già lieto sei. Nulla si niega
a re che chiede, a genitor che prega.
                       Gran re.
                                         Favor ti chiedo,
se lo concedi, è tua fortuna.
                                                   A l’alma
fia la gloria de l’opra alta mercede.
al rival Faramondo un re ti chiede.
servo a le leggi. A custodir m’ha dato
un suo divieto a te ne chiude il varco.
cui compiacer ricusi. Onta è un rifiuto
né sono avvezzi a tollerarne i regi.
non mai l’onor. Temo chi è re; ma temo
E se impegno di fé, zelo di onore
fa che ti nieghi, alto monarca, un dono,
più merita il tuo amor che il tuo perdono.
Non lo sperar. Questo mio braccio...
                                                                  Acheta,
Sol col figlio mi lascia. Otterrà il padre
Sì, Teobaldo. Usa ogn’arte, ogni consiglio,
amico il padre ed inimico il figlio.
già si prepara a Faramondo. Il danna
                                     A Rosimonda io servo.
da me vorrai che me ne renda indegno.
                                    Io più lo temo ancora
                                          Il tuo rifiuto
                        Onor mi scusa.
                                                      E un padre offeso
La cagion ch’è tua offesa è mia discolpa.
Ah figlio, figlio, a che m’astringe un cieco
impeto di vendetta? Uopo è svelarti
ciò che ancor può affrettarmi i giorni estremi.
Se ad un figlio l’affidi, invan ne temi.
parto è del mio dolor, parto è d’un seno
nel cor trafitto e in un suo figlio ucciso.
Ma, signor, d’un sol figlio, e quello io sono,
                                      Ah Childerico,
Sveno ancor fu a me figlio, a te germano.
Sì, e la spada crudele ad ambo il tolse.
                                Ahi troppo vere.
                                                                E Sveno
                                           Altro non lice
Hai noto quanto basta ad irritarti.
Di Faramondo a’ danni il cor s’accende;
cinto or di ceppi e a la mia fé commesso,
padre, non lui ma offenderei me stesso.
Né a Gernando né ad altri, infinché ho vita,
Qui son vassallo e sarò figlio altrove.
Padre più non ti son; ti son nemico.
pien d’un nuovo furor contro me stesso.
O sdegni miei troppo perduti! O arcano
scuoperto altrui per mio periglio invano!
Risolvetevi ommai, dubbi miei spirti.
in gran rischio il tuo amor. Temi del padre
l’ombra fraterna, i numi e ’l giuramento.
il rischio del suo amor fa più spavento.
A te vien Faramondo. Ecco il suo brando.
                             Il tuo voler mi è legge.
Dubbi più non v’ascolto; amor mi regge.
prigionier di nostr’armi; e giusta guerra
Prendi; questi è ’l tuo ferro e pria che inciampo
maggior ti si appresenti, esci dal campo.
crudel pietà è la tua? Se mi vuoi morto,
volgi prima in altr’uso e ’l sen mi svena.
Non voglio libertà che sia mia pena.
che l’odio mio; né che m’additi ho d’uopo
le vie del vendicarmi. Ha forze il padre,
da quel de’ tuoi rivali; e, poiché ’l rio
destin così richiede, ancor dal mio.
                Andrò, Rosimonda; andrò per altra
mano a morir. Saprò nel primo incontro
a Gustavo, a Gernando, a chi nemico
mi assalirà, stender ignudo il petto.
                Così la libertade accetto.
Faramondo, m’ascolta. Io devo il prezzo
verrà nemico, è tuo rivale e cerca
ciò che ti è caro; e se non vuoi te stesso,
almeno Rosimonda in te difendi.
unirti a illustre sposo e farti lieta,
                                  Il mio voler tel vieta.
Se temi l’odio mio, di maggior colpa
questo fiero disio, sappi che solo
tu se’ degno d’amarmi; e tu ’l saresti
de l’amor mio, se nol vietasse il fato.
non lasciarmi d’altrui. Vivi.
                                                    Ah che il solo
Ogn’indugio è fatal. Vanne; e fintanto
leggi al tuo duolo, io tel comando, e vivi.
                                          Ei s’era posto
                                       Anzi vel trasse
                                             A lui non volli
                                           Odio ch’è giusto
non ha tanti rispetti. Ah figlia, figlia,
e colpevole se’ di maggior fallo.
a’ dei patri, al mio sdegno alcun riguardo,
Non la devi temer, se l’hai commessa.
di noi più forte e tu medesmo il sai.
                                        E tanto ascolto?
Ma l’amo da nemica e da tua figlia.
                                            Il voglio estinto.
di te far e di lui giusta vendetta.
con l’odio e con l’amor così trionfa
qual mi rende infedel. Se tutto i’ seguo
l’impeto che mi trae, cose udrà ’l mondo
ne le venture età trovino appena.
Già l’attonita mente altro non volge
mi trova genitor l’ombra di Sveno.
una vittima è tolta, io qui per l’altra
                                            Sarà cambiata
                                          Padre, qual colpa,
                                             Il mio furore,
chiuda un eterno obblio, sia tua Clotilde.
                                      Io sola, Adolfo,
                                         Non ti sgomenti
Più non son genitor né son più amante.
trascurò di vassallo, ha violate
                                          In che son reo?
La fuga del re franco è suo delitto.
qui è re. Tu servi a lui. Fellon gli fosti;
e un padre accusator prova è del fallo.
Tu se’ giudice, io padre ed ei vassallo.
Saran paghi i tuoi voti. A me si rechi
di che farmi arrossir. Per minor colpa
tu puoi perder il figlio. Io, senza interno
rimprovero del cor, non posso i miei
ch’abbia più di piacer, meno di orrore. (Si asside e scrive)
De l’idol mio pietà ti prenda, amore.
far voti, Adolfo? Ambo vivremo o assieme
tu lieto ne’ miei lumi, io nel tuo viso.
Se ha cuor forte ed amante, il fiero invito
                                   Nuncio quel foglio
                    Sire.
                                Il foglio prendi e ’l reca
nel vicino ostil campo a Faramondo.
                                               E voi fra tanto,
riserbate al gran colpo il sangue o ’l pianto.
dubbi pensieri e male intesi ancora?)
già s’era il mio destin. Lieto i’ moria,
compagna mi rifiuti e al ciel contrasti?
                                               Temo la morte
or ch’è comun. Deh tu la sfuggi e dammi
                                           E vuoi ch’io viva,
te estinto, e viva altrui? Che sposi l’empio
spargitor del tuo sangue? Il fier Gustavo?
Questa è la fede tua? Questa a me chiedi?
ti trova forte? Il mio più vil ti rende?
O men fedel? Che non t’imiti or brami?
o tu mai non mi amasti o più non m’ami.
legge imponete. A questi orrori in seno
                                       Ah Childerico,
                          Quale speme?
                                                      Al maggior uopo
vi si aprirà lo scampo. A’ detti miei
                        saran custodi i dei.
Childerico, che pensi? Un grande arcano
Ma se lo sveli, il genitor tu perdi.
Tregua, miei spirti. Il colpo è lunge ancora.
Più vicino e’ s’attenda; e in me la colpa
sembri necessità. Poi si risolva.
o la natura o la pietà mi assolva.
Torno a’ miei fuor di ceppi. A me si offerse
La mia vita è suo dono e vuol che il serbi.
non mai sperati; e pure un novo a l’alma
peso si accresce e men la sento in calma.
qui con Teobaldo? A qual disegno han mira?
l’udirli. Il cielo a me li guida, o amore,
amor che ha pur pietà del mio dolore.
Signor, non t’inoltrar. Quelle che miri
                                              Amico, in parte
siamo, ove alcun non è che osservi o possa
                                                I cenni attendo.
sono i miei Svevi, alme feroci e degne
                                             Io di Gustavo
tengo a fianco guerrieri, a me ben noti
mal guardata rapir. Nel punto stesso
Gustavo prigionier chiedo al tuo braccio.
ricomponi il tumulto. Io qui non cerco
l’eccidio del tuo re. Quel cerco solo
Te ne accerti il mio onor. S’amo la figlia,
non odio il padre; odio ’l rival che l’ama.
la sua vita Teobaldo e la sua fama.
                                        Ad affrettarla
              Che non ti deggio?
                                                  Ecco dal colle
vendicarsi e goder sono i momenti.
(Iniqui, andrà l’empio disegno a’ venti). (Va ad incontrare i suoi che scendono dalla collina)
                                         Al re de’ Franchi
pace e salute in questo foglio invia.
Ho Clotilde in tua vece, ho Childerico,
per sangue o per amor vite a te care.
se non riedi a’ tuoi ceppi, esse cadranno».
Nemico ingiusto e genitor tiranno.
«Voglio ’l loro o ’l tuo sangue; uno di questi
colpi è da farsi o tu sia vile o forte.
tuo nemico crudel fino a la morte».
al tuo signor crudel, mostro, non padre.
Verrò, digli, verrò ma qual io devo
Vien pure a tuo piacer. Da pochi istanti
o l’altrui morte o ’l tuo destin dipende.
Andiam, fidi guerrieri. Io vi precedo,
duce e compagno; e l’opre usate or chiedo.
nuncio dal campo a te ritorno.
                                                        Al foglio,
Verrà, disse, verrà ma qual ei deve,
verrà nemico e tal l’attendo; ei forse
ma s’inganna il crudele. Olà, qui tosto
                                    Padre...
                                                     Tu Adolfo,
                                         O dei! La figlia?
                                     De’ tuoi guerrieri
le difese a me cedi; ed io con esse...
Opra da figlio e i primi falli emenda. (Parte Adolfo con le guardie di Gustavo)
Disarmato è già ’l re. Non si trascuri
                                            Teobaldo,
                                    Come!
                                                   Già sei
                                            Cedimi il brando. (Gustavo dà mano alla spada)
                                Non mi obbligar col ferro
                                                    La vita
                          Già reso inerme è ’l braccio. (Teobaldo lo disarma con l’aiuto de’ suoi e fa incatenarlo)
                                           Empio, mi svena.
E togli te di rischio e me di pena.
                                            Ecco gl’iniqui.
                                    Aimè!
                                                  Qual nume
Pur cadesti, o malvagio. Or fra ritorte
                               O sorte!
                                                E tu Gustavo,
e dell’illustre spada armi il tuo braccio.
O qualunque tu sia, lascia che al seno,
amico eroe, ti stringa. (Lo abbraccia)
                                           E a Rosimonda,
                                      Figlia, e qual fato
                                     Il forte braccio
                                          Ei fu che invitto
Fe’ prigioniero il rapitor lascivo.
                                          E ’l miro?
                                                               E vivo?
Ma qual se’ tu, cui tanto devo?
                                                         Io sono (Faramondo si alza la visiera dell’elmo)
                                Qual fiero oggetto, o lumi,
vi si appresenta! Ed ho potuto io stesso
                                                Rammenta...
                                                                          Iniquo,
Odio la libertà, s’ella è tuo dono;
arbitro di mia vita, al tuo furore
saprò torne il piacer, saprò svenarmi;
né al risoluto cor mancheran l’ armi. (Getta da sé la spada datagli da Faramondo)
Del tuo furor l’impeto affrena e mira
(La virtù di quell’alma ancor pavento).
vi fui guida a’ perigli; ite e lasciate
libero a’ Cimbri e al mio destino il campo. (Partono le guardie di Faramondo)
sol per tua libertà. Seppi il tuo rischio,
lo temei, ten difesi e ’l ciel m’arrise.
non mi resta a temer che l’altrui morte
ciò ch’è mio; tu mel devi. Io di quell’ire
propia vittima son. Vengo a morire.
                             (Invitto eroe).
                                                         (Cor di Gustavo,
come langue il tuo sdegno? E come a vista
del tuo nemico il perdi?) Ah Faramondo,
hai vinto l’odio mio. Ma che mi giova
Giurata ho la tua morte e ’l giuramento
Sarò a forza crudele e innanzi a l’ombra
sparso andrai del mio pianto e del tuo sangue.
che scender dee né mi si tardi. Il chiedo
                                            Il cor si spezza.
non ho cor di mirar. Lascia ch’io parta.
dopo il divieto mio sprezzi la vita,
passar. Ti seguirà quella che stimi
                                             O me beato!
quest’ultimo piacer l’anima mia.
                Clotilde, il tuo dolor m’ascondi.
Lieta vivi al tuo amante; e un sì bel nodo
                                          Amor, che nacque
in me fra l’ire, or da pietade è spento.
Sia di Adolfo Clotilde; al nodo assento.
a te ’l perdon. Né tuo vassallo ei nacque;
(Mia fortuna crudel, così ti piacque).
qual ti serbo il mio cor vicino a morte.
Libero a’ tuoi ritorna; e se ti offesi
d’involontario error perdon ti chiedo.
dagli occhi miei la cieca notte. Or veggio
qual amico in te perdo e orror ne sento. (Si cava l’elmo e dà la sua spada a Gustavo)
Ora il crine de l’elmo, ora del ferro
disarmo il fianco; a te lo porgo; ed egli
quella tinta, che prese iniquo e rio
del tuo figlio nel sen, perda nel mio.
Lacrime, non uscite. Ah Faramondo,
anche amico mi dai tanto dolore?
già ti attende al gran colpo.
                                                   Andiam.
                                                                      Teobaldo,
                                                Sicuro,
crudel, del tuo destino, il mio non curo.
dirmi ch’essendo tua sarò infelice?
Ti consola; chi sa? Riguardo i numi
avranno a un tanto eroe; né ’l vorran morto.
Siete, amabili voci, il mio conforto.
numi d’Averno, orribil dea, severa
punitrice de l’ombre, ommai reggete
più teme il sacerdote e l’are vostre
con più d’orror non fur di sangue intrise.
qual fu Sveno trafitto e chi l’uccise.
                             M’ascolta e poi ferisci.
               E d’alto favor prometti ancora
                                  Purché spergiuro
non mi voglia richiesto, a te lo giuro.
                                              Ei Sveno uccise.
                                            Non fu mio figlio?
Tel confermi Teobaldo. Ei gli fu padre.
                                      Astri inclementi.
Dimmi, rea di più colpe, anima infame,
gli fu? Perché ingannarmi? Il tuo timore
già ti accusa al mio sguardo, o traditore.
                                 Parla.
                                              Io fui di Sveno
               Ma come? E quando?
                                                        E lunga e molta
serie di casi in brevi note ascolta.
De la guerra fatal, mossa da’ Cimbri
ben ti dee sovvenir. Fu alor che nacque
il periglio e la gloria; e a la mia fede
Pugni, vinci e ritorni. Amor di padre
alor m’insegna i mal orditi inganni.
Vago che un dì regal diadema in fronte
che in pari età m’avea concesso il cielo,
in luoco del tuo Sveno, il mio ti porgo.
Tuo lo credi, tuo l’ami e tuo lo piangi,
io piango la sua morte e ’l mio delitto.
                                   E del mio figlio, iniquo,
Tel rendo in Childerico e a me perdona.
                                                      Il mio dolore,
Perché non l’era a Childerico, io stesso
bramar potea che ne versassi il sangue.
              Padre, mio re.
                                          L’indole eccelsa
mi ti addita e ’l mio cor. Tanta virtude
non potea d’un tal padre esser mai figlia.
                                O contento!
                                                        O maraviglia!
fa vano il giuramento. Or, Faramondo,
vivi e scorda i tuoi mali. Or ti concedo
Rosimonda in isposa ed ella ommai
venga a goder di sì felici eventi.
Non mi opprimete il cor, dolci contenti;
                                                  Vani rispetti.
La colpa mia già me ne rese indegno;
un re cui desti e libertade e regno.
che tragico apparato esser dovea
al cader del gran re, popoli, or sia
spettacolo giulivo a la sua gloria.
                                       No, viva; il dono
io sol devo l’onor del mio perdono.
Sposo, germano, or sì felice io sono.
                                        Giurata avea
Dovea compirsi il giuramento e tacqui.
padre, cader per quella mano istessa
fa’ che compagna io m’appresenti a Sveno.
                                     Ma in questo seno.
Tu vivo e mio? Tu a me german? Quai beni
tutti ad un punto? Ed in me fede avranno?
Fu di tanto piacer fabbro un inganno.
saper che se’ felice. Or plauda ogn’alma
che de l’odio trionfa e de l’amore. (Scendono dalla machina i seguaci della virtù che accompagnano il canto del coro col ballo)

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