Faramondo, Venezia, Nicolini, 1699

 SCENA IV
 
 FARAMONDO
 
 FARAMONDO
 Siam soli, o cor. Dimmi, che affetto è ’l tuo?
 D’una beltà nemica,
95che giurò la tua morte, a che t’invogli?
 Ti spaventi, infelice,
 l’odio di Rosimonda,
 l’amistà di Gernando.
 Aimè! Che ’l non amarla
100non è più ’n tuo poter, misero core.
 Dolce amico, perdona.
 Quando è destin, non è delitto amore.
 Amerò ma qual devo.
 Tuo rival senza speme e senza voti
105ti sarò forse oggetto
 di pietà più che d’ira. E benché il seno
 tanto affanno a soffrir sia troppo angusto,
 ne l’amar Rosimonda
 misero lo vedrai ma non ingiusto.
 
110   Amo chi mi vuol morto;
 l’amico mi è rivale.
 Speranza di conforto
 in me sei colpa.
 
    Pietà non chiedo al duolo;
115l’esser misero solo
 è mia discolpa.