Qual cuor mi chiedi, Enrico,
Me l’ha rapito... Ah taci
tu che a morte il guidasti,
Sì, Metilde, a te vengo...
Forse, iniquo, a far pompa
Eh, mia cara... (Se le avvicina)
Scostati, o del mio sposo (Si allontana)
non soggiace al tuo impero.
temerario, o t’uccido. (Dà di mano a uno stilo)
Sì, mio prence; t’affretta.
a scior dal giogo indegno.
Vieni a dar col tuo ferro
che a sé lecito il crede.
non fia ver ch’io fomenti
Si uccida il re che iniquo
sodisfatto il mio sdegno,
o mio fedel. (L’abbraccia)
puoi temer da un captivo?
leggo ne’ tuoi begli occhi
vincerò ancor quegli empi
più che albergo, è sepolcro,
Te estinto, ecco atterriti
da l’esempio i più audaci.
Ma, signore, altri e molti
tanti oppressi innocenti,
vie più che a te commesse,
Signor, che più t’arresti?
che il piacer d’esequirla.
Principessa, ecco il tempo
Pria che termini il giorno,
la bramo anch’io. Riccardo,
Ma, Gismonda, rammenta...
Non v’è cuore, o Gismonda,
Tanto ascolto e non moro?
Che di me, s’ei v’assente?
scielto ad esser un giorno
Più che infedel mi brami,
Io spergiuro? Ah Gismonda,
Fuggo o bramo il trionfo?
Non deggio. (Trattenendolo)
(Stelle, non vi capisco).
Si mostri ardir. Metilde.
M’ama Odoardo? E ’l credo?
Principessa... (Ah Gismonda!)
Ma, signor, chi si oppone
Con qual cuor, con qual volto
Ma lo vedo; a’ miei detti
l’Anglia il suo re. Già sciolta
(Cada in me, giusti numi,
col mio cuor consigliarmi
quel pallor, que’ sospiri
presago il cor. «Metilde». (Legge)
Leggi. (Le dà la lettera di Eduino)
Eduin qui scrisse. (Legge)
perfido inganno? E ’l credi?
l’armi impugna; te stesso
vacilla il cuor. Di questa
Ma, signor, ne la pugna...
La sua morte, che a molti
veglia ciascun. Potresti,
O ciel! Tanto si avvanza...
Al tuo zelo, al tuo affetto
custodi o servi? E questo
se fui da amor costretto.
Signor, con occhio d’ira (Eduino si ferma, guardando fisso Riccardo)
Ah Riccardo, Riccardo. (Scuotendo il capo)
Perfido! (Passeggi senza più guardarlo)
Deh conserva il tuo prence
Qual disonor? Qual rischio
Ah Enrico! (Alzando gli occhi languidamente su Enrico; poi torni ad abbassarli)
Tal le tue leggi infransi,
Torna, torna in te stessa,
Prima ancor del mio labbro
scielga il giusto tuo sdegno
la mia, non la sua morte.
sciolto il piè di catena.
Mio sire, or che ti veggio
si oppone a la tua sorte,
per abbagliarmi il guardo
(Qual oggetto è mai questo?) (Odoardo scende dal trono)
che si fa strada al cuore,
Deh ti salva. Ancor tempo...
Né più v’è; né più ’l chiedo.
questo è ’l grave delitto
par che mi manchi... Adolfo.
Crudel! Volle anche tormi
n’era il tuo amor. Gismonda,