l’ultima sorte mia sangue e non pianto.
Uditemi, o del cielo, o dell’Averno
numi temuti, odimi, o Stige, a Giove
nome ancor sacro, e tu, bell’alma, ancora
esci più tarda e il giuramento ascolta.
col sangue suo; lo seguirò spietata
de’ suoi giorni o de’ miei, fatal momento.
Rosimonda, già udii. Moro contento.
Sveno, Sveno! Ei spirò. Già tutto passa
nel mio seno il furor. L’infausto oggetto
dell’ira mia... Ma che mi giova un giusto,
impotente furor? Già Sveno ucciso,
la città presa, il genitor lontano,
Sinché abbia spirto e vita,
del mio sen farò scudo a Rosimonda.
Tanto nell’ira? Olà! soldati,
gettinsi l’armi. E tu, guerrier, se a sdegno
non hai la vita, ei te la lascia in dono.
Un re ti salva e Faramondo io sono.
A me quel ferro, (Avanzandosi)
che del sangue real sol reso ingordo
barbaro Faramondo, a me rivolgi!
una parte di Sveno; in Rosimonda
andarsi a dissetar l’aste boeme?
Dillo, spietato! Alma alle stragi avvezza
della sua crudeltà non ha rossore.
(A fronte di quegli occhi io perdo il core).
Parla; che dir potrai? Che ti ha costretto
di Rosimonda e di Gustavo a’ danni
compisci i tuoi! Fa’ pur ch’io cada esangue.
non puoi dargli il mio cor; dagli il mio sangue.
Principessa, son reo; ma reo pentito.
cercar discolpa; e se l’avessi ancora,
la tacerei, per non lasciarti ingiusta.
soddisferò la tua vendetta almeno;
forse con l’odio tuo l’ombra di Sveno.
Sì, la tua morte io chiedo;
ma la chiedo al mio cor, non al tuo braccio.
senza pena mirar più non mi lice.
quel riposo che resta a un’infelice.
pietà delle mie pene, a Rosimonda
vanne e in dirle il mio duol servi al suo sdegno.
la libertade e il regno? A questa sola
speranza vivo; e nel martir che sento,
Rosimonda a lei deve un gran contento.
Siam soli, o cor. Dimmi, che affetto è il tuo?
che giurò la tua morte, a che t’invogli?
non è più in tuo poter, misero core.
quando è destin, non è delitto amore.
Tuo rival senza speme e senza voti,
di pietà più che d’ira; e benché il seno
tanto affanno a soffrir sia troppo angusto,
misero lo vedrai ma non ingiusto.
prima dovea la libertade e il regno;
oggi dovrò assai più; devo l’acquisto
l’armi e il fato l’han posta. Il più ti resta
ora a compir; devi espugnarne il core.
Lo faran mio necessitade e amore.
In cor plebeo sveglia la tema affetti,
odi in alma real. Gernando, amico,
del tuo core e del mio, se amor tu cerchi
La libertà rendile e il regno.
Ah, crudel, qual consiglio!
crudel sembro e son giusto. O qual poc’anzi
non t’invogli il desio. Ripara a tempo
generoso i suoi mali; e men che puoi
colpevol ti presenta agli occhi suoi.
che non tentai? Che non soffersi? Il regno
torni de’ Cimbri al suo signor; gliel rendo;
di Rosimonda? Amico, o tu ti penti
dell’antica amistade o tu mi tenti.
leggi manchi quest’alma. Aver mi duole
dubito de’ tuoi casi e intendo i miei;
o tu nimico o tu rival mi sei.
Ma l’amo di un amor che non ti offende.
più non vedrolla; il giuro a’ numi e il giuro...
Non dà fede quest’alma a cor spergiuro.
da un mio rival. Già da quest’ora obblio
un’amistà che hai tu primiero infranta.
più rossori il pensier, più pene il core,
ti lascio in libertà di non amarmi.
anche in onta di amor. Nulla ti chiedo
la libertade a Rosimonda.
ne sarà il nostro sangue.
Vo’ doverla al tuo cor, non al mio brando.
Va’ pur, prevenirò gli empi disegni.
Col tuo morir mi si assicuri un dono
piacerà a Rosimonda; e una vendetta
saprà forse ragion farmi in quel core.
non men che all’odio suo, serva al mio amore.
Del tasso infausto e del feral cipresso
si alimenti la fiamma. Ecco dall’urna
misto col sangue; indi la destra e il ferro
nel seno immergo e il cor ne getto al foco.
Popoli, figlio, in basse note e meste
di un re, di un padre il sacrifizio e i voti.
(L’infelice amor mio vi versa il pianto).
Ascolta, o dagli Elisi, ove passeggi,
ombra ancor sanguinosa, ancora inulta,
ciò che a quest’ara, a questo nume io giuro,
padre, re, sacerdote; ascolta, o figlio!
l’ombre flagelli e sei di pianto e d’ira
severa, inesorabile ministra,
la face irrita, il ferro scuoti e attento
porgi l’alto tuo nume al giuramento.
Al crudel Faramondo, a chi mi uccise
perpetua guerra, orrida morte io giuro.
Cada l’empia cervice e penda il capo
da fatal asta, orrido oggetto agli occhi
della plebe minor. L’ossa insepolte
e alle ceneri sue l’urna si neghi.
Già da quest’ora l’uccisor felice,
tronchi dal busto e a me la rechi in dono,
le nozze, il giuro, e avrà de’ Cimbri il trono.
Tu giuri l’altrui morte e vuoi la mia.
manca la degna vittima; io la reco.
E del suo sangue ha questa
non poca parte; ella è Clotilde.
Prigioniera poc’anzi entro al suo campo
dalla vittoria sua reso men cauto.
Qui la guida, Teobaldo. Il sacrifizio (Teobaldo si parte)
piacque alla dea. L’ombra di Sveno attende
Ed è vero, o signor? Che di crudele
volgi nell’ira tua? Sangue innocente
Sorella a Faramondo ha una gran colpa.
Rosimonda è in poter. Potrà su lei
con l’amor di Gernando uomini e dei.
Padre, re. Se il mio pianto...
salvar Clotilde. Il so che l’ami, Adolfo,
e il tuo amor la fa rea di un’altra e, forse,
non minor colpa. Olà, ministri, il foco
si purghi e l’ara. Assai più degna è questa
Mora Clotilde pur. Nulla mi arriva
improvviso il morir. Dal primo istante
tutto il previdi e men feroce il resi
con mirarlo da lungi. Ecco, Gustavo,
ti presento il mio sen, ti faccio core.
che il piacer non avrai del mio timore.
giovi l’ombra a placar. Se gli anni e il sesso
sarò il ministro, io darò il colpo.
Per tua mora Clotilde e il regal ferro
Cotesta tua pietade è intempestiva.
O mia sorte crudel! Clotilde viva.
Ah, se in petto a Gustavo ira vien meno,
a me si serba il vendicarti, o Sveno.
tu di rischio, io di tema; e appena il credo.
giro di casi esser può mai che il core
per me serbi innocente? Avrai tu stesso
sparsi per la mia morte i voti al cielo?
turbare i regni e por sossopra il mondo,
non mai cangiarmi ’l cor, far ch’io non t’ami.
Di quell’amor, che mi giurasti un tempo
nella mia reggia, un testimon più caro
rendimi in Faramondo. A tante spade,
gli farò scudo anche del padre ad onta.
fuggo la fatal vista. Adolfo, addio.
Serba a te in Faramondo anche il cor mio.
Perdoni all’amor mio Sveno trafitto.
in ogni altro è giustizia, in me delitto.
Pur giusto è l’odio mio. Chi lo disarma?
turba l’idea? Si oppone a’ voti? E parla
Che sarà mai? S’egli è pietade, è ingiusto,
vil, s’è timor. Qualunque ei sia, dall’alma
Rosimonda il rigetta. O dio! Resisto,
tutta l’alma v’impiego; ed ei non tace.
Faramondo crudel, lasciami in pace!
l’ire sospendi. Io l’ho temute e volli
Dalla man, che li fece, i mali miei
e il rifiutano ancor. Per te, Gernando,
Rosimonda è cattiva e Sveno è morto.
Quel, cui giova il delitto, autor n’è ancora.
Già da quest’ora ei cadde
D’allorch’ei Sveno uccise, a te nimico,
E d’allor che te vide, a me rivale,
anche il mio meritò. Col farsi ingiusto
poté farmi crudel. Ma nel suo sangue
cercai, più che la mia, la tua vendetta.
Dell’amor di Gernando è degno il colpo.
Rosimonda, io te l’offro e tu l’accetta.
che li gradisca? Anima ingiusta e vile!
di Faramondo e ne attendea la morte
ma non da te. L’onor tu mi togliesti
della vendetta e tu mi accresci i mali
più di ogni offesa un tuo favor m’irrita.
a chi ti abborre ancor, togli la vita.
Dell’ira tua... Ma qual rumore? O sorte!
Qual mia stella maligna il tolse a morte?
tu mi credesti o prigioniero o estinto.
trassi il piè dall’insidie. Han vinto i miei;
tutto è in mia mano e prigionier tu sei.
Solo, a che impugni inutilmente il brando?
Tu mi volesti esangue, ed io ti salvo.
Vanne, libero sei! Per te non cesso
di esser qual fui. Tu m’odia; io son lo stesso.
Addio, core infedele. Accetto il dono
sol per farti pentir del tuo perdono.
testimon del mio duol; libera sei.
Con la tua libertà quella ti rendo
di questa reggia. Al genitor Gustavo
che oprar per te più non mi resti, il mio
sangue verrò ad offrirti. Al tuo riposo
(Ah, che più non lo speri, anima mia!)
tua nimica mi rese; il giuramento
mi confermò. Voglio il tuo sangue. A Sveno
non bastano a cangiarmi. O dio! Più tosto
Se mi fai più infelice, io son più giusta;
se mi sei più nimico, io son più forte.
Col darti libertà placar nol tento
né ti chiedo pietà. Bastami solo
Maggior tel mostrerei; ma temo in dirlo
ch’io ti asconda il piacer di un mio tormento.
O Sveno! O Faramondo! O giuramento!
agli occhi tuoi troppo funesto io sono.
questo forse sarà che tu mi vedi;
o tornerò ma per morirti a’ piedi.
Qual nimico mi han dato in Faramondo
La sua virtù può meritar che il pianga,
non che il risparmi. Il giuramento è dato.
Si può vincer un cor ma non il fato.
han preso a lacerar due vari affetti,
di amor per te. Quello il vuol morto e questo
più per te quel Gustavo. Assai diverso
mi ha reso il tuo coraggio e il tuo sembiante.
Mi temi re? Non disprezzarmi amante.
Se lusinga di amor rattenne il colpo,
ritorni all’ara. Amor, che d’odio è figlio,
si conformi al natal, segua il suo istinto.
la metà di quel cor che brami estinto.
dell’amor mio; ti sia più caro il dono
di tornarmi a irritar dopo un perdono.
Serba l’amore o torna all’odio; hai preso
un’alma ad espugnar troppo costante.
il genitor chi è già del figlio amante.
io padre e re. Mi cederà il tuo core
avrò il figlio egualmente e il genitore.
O suo disegno o suo destin qui ’l tragga,
dalla città poc’anzi uscito, i suoi
chiudete il varco. Al teso aguato ei cada.
guidi al campo Clotilde. E tu mi attendi
nimico e amante a più temermi apprendi. (Entra nel bosco co’ suoi)
E chi serve in amor, nulla paventi. (Entra nel bosco)
sol mi lasciate alquanto. I foschi orrori
par che facciano invito a’ miei dolori. (Lasciati in lontano i suoi soldati, egli va a sedere a piedi di un albero)
brami immergergli in sen? La strada è questa.
la tua gloria, signor. Un tradimento
vendicarti non dee del suo valore.
lo circondano i suoi. Fatto è periglio
ciò che sperai trionfo. Iniquo figlio! (Adolfo gettandosi a lato del padre)
scudo ti fui. Più non sei solo. Or l’armi
volgo in altr’uso; e se feroce insulti
il regal padre, io lo difendo.
né ingrato a te né a lui nimico io sono.
Il fui, purtroppo. A te, Gustavo, ho tolta
una corona e te la rendo. Feci
Rosimonda cattiva; ella è già sciolta.
Tu mi rendi, crudel, ciò che ben tosto
tormi io potea. Se il fai costretto, è il dono
necessità, se volontario, è tema.
risarcir tu mi devi. Eterna guerra
vedrò tronco il tuo capo; e Rosimonda
ne sarà il prezzo. E tu, infedel, più padre
non mi sperar. Dagli occhi miei per sempre
Temi ’l divieto; e se dal duro esiglio
con quel capo a lui torna; e sarai figlio.
si sparge anco ne’ miei. Tu del suo sdegno
non farti reo. Lascia di amarmi. È giusto
l’odio che chiedo. Io l’uccisor di Sveno,
il distruttor delle tue terre io sono.
o nimico in vendetta o amico in dono.
ne ha in ostaggio il mio cor.
le toglie ne’ suoi ceppi iniqua sorte,
se te le toglie! Io per lei temo il cieco
Io più il suo amor. Ma le sarò di scudo.
A Clotilde si torni e amor nol cura.
Dall’esempio del tuo, l’amor che ho in seno
mi chiama il fato. Entro alle tende in breve
Pace si renda e libertade a’ Cimbri.
vieto il seguirmi. E se nimica stella
mi vorrà morto, all’amor vostro io chiedo
che all’autor si perdoni e all’alma esangue
diate omaggio di pianto e non di sangue. (Si partono le guardie)
d’allor che ti lasciai. Meco nel campo,
figlia, sei più sicura, io più contento.
le stelle assolvo e i mali miei non sento.
darà più lena. Esser dovrai tu moglie
quel di Gustavo. A confermarle il core
Venga; benché nimico, io l’assicuro
su l’onor mio, su la real mia fede.
l’odio tra noi. Tutto del franco a’ danni
s’armi più giusto. Egli del par ci ha offesi,
me nell’amor. Dobbiam punirlo entrambi,
tu perché fu crudele, io perché infido.
io qui vengo ad offrirti e vita e regno.
che già sciolse l’amor, stringa lo sdegno.
Dal tuo valor, Gernando, il capo attendo
Qual ne fia il prezzo, in Rosimonda il sai.
Sta nel tuo brando il tuo riposo e il mio.
tu devi il mio disegno. Io cerco in essi
Odio lui per destino; e tu nimico
per genio mio, per colpa tua mi sei.
abbominio te il cor, quello gli dei.
Men crudele io ti spero, allor che tronco
verrò ad offrirti; e di quel sangue a vista...
tu stesso il ferro. A satollar lo sguardo
vanne in quel cor, cui tanto devi, ingrato.
che per lui vivi. Il real capo attendo
più dalla tua empietà che dal tuo brando.
Io vorrò, dopo il suo, quel di Gernando.
Gran re, dal tuo pensier non ti rimova
Segui a compirlo e sarà tua.
me la neghi Gustavo; il mondo, il cielo
mi abborrisca nel colpo; io non mi pento.
Mora pur Faramondo e son contento.
Serba, o ciel, la vendetta al nostro braccio.
quest’alma anche trafisse.
era a cader. Di Faramondo il cenno,
egli mi ha ucciso e non serbato un figlio.
ti fa scordar che mi sei padre? E rompe
le leggi di natura un cieco sdegno?
Quant’odio, Faramondo, arma a’ tuoi danni
era a temer. L’hai disarmato e vinto.
Faramondo è pur salvo; e al caro Adolfo
che Adolfo mi salvò, poco mi è cara,
Nel campo di Gustavo? In braccio a morte
solo, o dio, chi ti guida?
mancan forse altre vie? Dal ciel le attendi
più opportune e dal tempo.
viver non posso; e di vederla ancora
Questo solo desio per calli ignoti
quivi mi trasse. Io vo’ morirle a’ piedi.
ecco il tempo, ecco il loco; a’ voti arridi.
O troppo ne’ tuoi mali anima invitta!
Fra que’ mirti ti ascondi. A noi fra poco
Dolce speranza, ancor ti sento.
Diamle fede, mio cor. Morrai contento.
m’abbia il braccio fatal tolto un germano,
qui non vengo, Clotilde, a te nimica.
tal mi renda anche a lui; né possa almeno
rendergli in te la libertà ch’io n’ebbi.
De’ casi miei cura ne prenda il cielo.
mi fan pietà. Nell’odio tuo lo piango.
e pende il suo destin dagli occhi tuoi.
chiedo la morte sua, non la paventi.
se all’onor mio, che posso dir? Crudele
mi vuole un giuramento, il padre e Sveno.
Salvo il vorrei né posso.
io gli direi ma sospirando.
Se neghi fede al guardo, or che diverso
da qual pria mi vedesti a te ritorno,
a quel dolor che, sul mio volto impresso,
quasi ignoto mi rende anche a me stesso.
qui ti guida a morir? Qui, dove ogni alma,
A cercar questa morte a’ piedi tuoi.
che vuoi reciso. Eccoti il sen che aperto
Quivi ricerca il core, unica sede
di quest’alma infelice, e lo trafiggi.
reo del sangue fraterno, e qui lo immergi.
Tanti popoli invano e tante spade
s’armano a’ danni miei. Tu sola basti
Già d’allor che ti vidi assai più fiera
nel mio sen principiata i tuoi begli occhi.
Che farò? che risolvo?) Ah, Faramondo,
qual duro passo è questo in cui mi getti?
ma un fratel m’hai trafitto. Oimè! Può farmi
un perdono spergiura e un colpo ingrata.
Ma poiché te infelice e me crudele
brami, in onta del cor, sì, tu morrai.
E dal mio ferro or questa morte avrai.
O qualunque tu sia, vieni e m’uccidi.
ch’è in odio a Rosimonda e ch’io detesto.
Sì, mori, iniquo; il fatal colpo è questo.
Ferma, Teobaldo, io tel comando. Io figlia
del tuo sovran, tua principessa. Avverti
pria del cenno real, sugli occhi miei,
a supplizio più infame il tuo destino.
Eccolo, Rosimonda, a’ piedi tuoi.
Childerico, opportuno. Il re de’ Franchi
Nel mio soggiorno il custodisci; e a tutti,
Avrò nell’alma il regal cenno impresso.
Si avvisi il re. Crudel nimico, addio.
solo a farti morir per via più atroce;
vendetta, che sia tarda, è più feroce.
paghi i tuoi voti e i miei. Son presso a morte;
né me ne duol. Ti prego sol che in essa
né venga ad agitarmi oltre la tomba.
l’infelice Clotilde e in lei sol ama
né ti chiede di più l’ombra di Sveno.
(Ah, che se più l’ascolto il cor vien meno).
Clotilde, Rosimonda, addio.
non basta a soddisfarti? Ah, tua vendetta
A che me preghi? Il padre
si è da placar. Tu il puoi, Clotilde.
pregherò, piangerò. Per l’altrui vita
darò la mia, darò l’amor, quand’altro
non mi resti ad offrir. Mio caro Adolfo,
il destin, non il cor mi fa infedele;
a te sono spergiura e a me crudele.
che far si dee? Salvarlo? Onor mel vieta;
ma lasciarlo morir, mel vieta amore.
Rosimonda, il men fiero; e rendi omai
o vita a Faramondo o pace a Sveno.
Faramondo è in catene e morir deve.
s’apra la scena; e mole tal s’innalzi
che Svevi, Cimbri, i numi stessi e i cieli
mio re, mio padre, a te ritorno.
Eseguisti la legge? O riedi forse
per formar del tuo petto ancor riparo
cadranno a vuoto; e di tua colpa omai
e padre e re vendicator mi avrai.
s’incateni il fellon. Sia questo il primo
gastigo al suo delitto. E che? Sì lenti
ad insultar destra vassalla ancora
non vi è d’uopo, o signor. Mi vuoi fra’ ceppi?
mi scorderò di esserti padre.
sempre a me sovverrà che son tuo figlio.
lagrimosa Clotilde e qual poc’anzi
tu intendi i voti. Io nell’altrui ti chiedo
o la mia vita o la mia morte. O salvo
dammi il fratello o in me l’uccidi ancora.
condannar Faramondo e amar Clotilde?
tutto l’amore o tutto l’odio; e sia
men crudele il tuo core o men pietoso.
non hai tutti i tuoi mali. Adolfo è avvinto
l’un ti è fratel, l’altro ti è amante; e parla
per quel natura; e a pro di questo, amore.
e in me accresce i timori il suo periglio;
ma alfin tu gli sei padre ed ei ti è figlio.
No, denno ambi morir. Sveno mi chiede
posso usarti pietà. Se salvo il brami,
Clotilde, odi la legge; io ti vo’ mia;
dammi fede di sposa e salvo ei sia.
Che la destra io ti stringa, allor che calda
No, tiranno crudel. Se Faramondo
deve morir, mora anche Adolfo. Io l’amo;
nel delitto del padre. Adolfo mora;
sarà tua pena e mia vendetta ancora.
Qui se le guidi Adolfo. In questi primi
impeti del dolor mal si conosce
il più sano consiglio. Addio, Clotilde.
che salvar puoi, non trascurar. Più giusta,
il tuo e il mio cor dall’esser empio assolvi.
la vista del tuo amor. Pensa e risolvi.
fecermi orror; la tua pietà temei.
sol per me tu sostieni. In tal periglio
ti gettò l’amor mio. Posso salvarti
quella son io che ti condanno; e sento
non è a quest’alma il più crudel spavento.
tu mi salvavi. In te quest’alma ho viva;
io chiuda col piacer della tua fede,
che mia sperai; morrò contento; e solo
avrò duol che il mio sangue a trar non basti
Faramondo di rischio e te di affanno.
non ti plachi gli dei? Ma se altrimenti
stabilito han lassù, cara ti sia
figlio innocente in genitor tiranno.
Ed io son la crudel che ti condanno?
Clotilde, addio. Tu piangi e, perch’è figlio
Il vedermi ti affligge e forse in seno
t’ispira una pietà per me funesta.
una morte, che il salva, in don ti chiede.
Se la vita gli dai, questa è tua colpa;
ma se il lasci morir, questa è tua fede.
Empia Clotilde! Egli va a morte; e posso
io sospender quel colpo; e pur l’affretto?
Ma che? Fede ad un empio? A chi mi nega
la vita di un fratello e in lui mi uccide?
mora Adolfo e Clotilde; e si punisca
con la morte di un figlio e con la mia.
Il rapir Rosimonda, il far Gustavo
Ma più facil sentier ti si apre, o sire,
T’accingi al fatal colpo. Ad un mio cenno
Cor mio, ti sveglia all’ire.
Eccol. Già lieto sei. Nulla si nega
a re che chiede, a genitor che prega.
se lo concedi, è tua fortuna.
fia la gloria dell’opra alta mercede.
al rival Faramondo un re ti chiede.
servo alle leggi. A custodir mi ha dato
un suo divieto a te ne chiude il varco.
cui compiacer ricusi. Onta è un rifiuto;
né sono avvezzi a tollerarne i regi.
non mai l’onor. Temo chi è re; ma temo
E se impegno di fé, zelo di onore
fa che ti neghi, alto monarca, un dono,
più merita il tuo amor che il tuo perdono.
Non lo sperar. Questo mio braccio...
sol col figlio mi lascia. Otterrà il padre
Sì, Teobaldo; usa ogn’arte, ogni consiglio,
amico il padre ed inimico il figlio.
già si prepara a Faramondo. Il danna
da me vorrai che me ne renda indegno.
La cagion, ch’è tua offesa, è mia discolpa.
Ah figlio, figlio! A che mi astringe un cieco
impeto di vendetta! Uopo è svelarti
ciò che ancor può affrettarmi i giorni estremi.
Se ad un figlio l’affidi, invan ne temi.
parto è del mio dolor; parto è di un seno
nel cor trafitto e in un suo figlio ucciso.
Ma, signor, di un sol figlio, e quello io sono,
Sveno ancor fu a me figlio, a te germano.
Sì; e la spada crudele ad ambo il tolse.
Hai noto quanto basta ad irritarti.
Di Faramondo a’ danni il cor si accende;
cinto or di ceppi e alla mia fé commesso,
padre, non lui, ma offenderei me stesso.
Né a Gernando né ad altri, insin che ho vita
Qui son vassallo e sarò figlio altrove.
padre più non ti son; ti son nimico.
pien di un novo furor contro me stesso.
O sdegni miei troppo perduti! O arcano
scoperto altrui per mio periglio invano!
Risolvetevi omai, dubbi miei spirti.
in gran rischio il tuo amor. Temi del padre
l’ombra fraterna, i numi e il giuramento.
il rischio del suo amor fa più spavento.
A te vien Faramondo; ecco il suo brando.
Dubbi, più non vi ascolto. Amor mi regge.
prigionier di nostr’armi; e giusta guerra
Prendi, questi è il tuo ferro; e, pria che inciampo
maggior ti si appresenti, esci dal campo.
crudel pietà è la tua? Se mi vuoi morto,
volgi prima in altr’uso e il sen mi svena.
Non voglio libertà che sia mia pena.
che l’odio mio; né che m’additi ho d’uopo
le vie del vendicarmi. Ha forze il padre,
da quel de’ tuoi rivali; e, poiché il rio
destin così richiede, ancor dal mio.
Andrò, Rosimonda, andrò per altra
mano a morir. Saprò nel primo incontro
a Gustavo, a Gernando, a chi nimico
mi assalirà, stender ignudo il petto.
Così la libertade accetto.
Faramondo, mi ascolta; io devo il prezzo
verrà nimico, è tuo rivale; e cerca
ciò che ti è caro; e se non vuoi te stesso,
almeno Rosimonda in te difendi.
unirti a illustre sposo e farti lieta,
Se temi l’odio mio, di maggior colpa
questo fiero desio, sappi che solo
tu sei degno di amarmi; e tu il saresti
dell’amor mio, se nol vietasse il fato.
non lasciarmi di altrui. Vivi.
Ogn’indugio è fatal. Vanne; e sintanto
leggi al tuo duolo, io tel comando, e vivi.
non ha tanti rispetti. Ah, figlia, figlia,
e colpevole sei di maggior fallo.
a’ dei patrii, al mio sdegno alcun riguardo,
Non la devi temer, se l’hai commessa.
di noi più forte e tu medesmo il sai.
Ma l’amo da nimica e da tua figlia.
di te far, e di lui, giusta vendetta.
con l’odio e con l’amor così trionfa
qual mi rende infedel. Se tutto io seguo
l’impeto che mi trae, cose udrà il mondo
nelle venture età trovino appena.
Già l’attonita mente altro non volge
mi trova genitor l’ombra di Sveno.
una vittima è tolta, io qui per l’altra
chiuda un eterno obblio, sia tua Clotilde.
Più non son genitor né son più amante.
trascurò di vassallo, ha violate
La fuga del re franco è suo delitto.
qui è re. Tu servi a lui, fellon gli fosti;
e un padre accusator prova è del fallo.
tu sei giudice, io padre ed ei vassallo.
Saran paghi i tuoi voti. A me si rechi
di che farmi arrossir. Per minor colpa
tu puoi perder il figlio. Io, senza interno
rimprovero del cor, non posso i miei
ch’abbia più di piacer, meno di orrore. (Si asside e scrive)
Dell’idol mio pietà ti prenda, amore.
far voti, Adolfo? Ambo vivremo o insieme
tu lieto ne’ miei lumi, io nel tuo viso.
Se ha cor forte ed amante, il fiero invito
Il foglio prendi e il reca
nel vicino ostil campo a Faramondo.
Lieto al cenno ubbidisco.
riserbate al gran colpo il sangue o il pianto.
dubbi pensieri e male intesi ancora?)
già s’era il mio destin. Lieto io moria,
compagna mi rifiuti e al ciel contrasti?
(Taccio o parlo? Che fo?)
or ch’è comun. Deh, tu la sfuggi e dammi
te estinto, e viva altrui? Che sposi l’empio
spargitor del tuo sangue? Il fier Gustavo?
Questa è la fede tua? Questa a me chiedi?
ti trova forte? Il mio più vil ti rende?
O men fedel? Che non t’imiti or brami?
o tu mai non mi amasti o più non m’ami.
legge imponete. A questi orrori in seno
vi si aprirà lo scampo. A’ detti miei
Childerico, che pensi? Un grande arcano
ma, se lo sveli, il genitor tu perdi.
Tregua, miei spirti. Il colpo è lunge ancora.
Più vicino ei si attenda; e in me la colpa
sembri necessità. Poi si risolva.
o la natura o la pietà mi assolva.
Torno a’ miei fuor di ceppi. A me si offerse
La mia vita è suo dono e vuol che il serbi.
non mai sperati; e pure un novo all’alma
peso si accresce e men la sento in calma.
qui con Teobaldo? A qual disegno han mira?
l’udirli. Il cielo a me li guida o amore,
amor che ha pur pietà del mio dolore.
Signor, non t’inoltrar. Quelle che miri
son de’ Franchi le tende.
siamo ove alcun non è che osservi o possa
scoprir le occulte trame?
sono i miei Svevi, alme feroci e degne
tengo al fianco guerrieri, a me ben noti
mal guardata rapir. Nel punto stesso
Gustavo prigionier chiedo al tuo braccio.
ricomponi il tumulto. Io qui non cerco
l’eccidio del tuo re. Quel cerco solo
te ne accerti il mio onor. S’amo la figlia
non odio il padre; odio il rival che l’ama.
la sua vita Teobaldo e la sua fama.
vendicarsi e goder, sono i momenti.
(Iniqui, andrà l’empio disegno a’ venti). (Va ad incontrare i suoi che scendono dalla collina)
pace e salute in questo foglio invia.
Ho Clotilde in tua vece, ho Childerico,
per sangue, o per amor vite a te care.
se non riedi a’ tuoi ceppi, esse cadranno».
Nimico ingiusto e genitor tiranno.
«Voglio il loro o il tuo sangue. Uno di questi
colpi è da farsi, o tu sia vile o forte.
tuo nimico crudel sino alla morte».
al tuo signor crudel, mostro, non padre.
Verrò, digli, verrò ma qual io devo
Vien pur a tuo piacer. Da pochi istanti
o l’altrui morte o il tuo destin dipende.
Andiam, fidi guerrieri. Io vi precedo,
duce e compagno; e l’opre usate or chiedo.
nunzio dal campo a te ritorno.
Verrà, disse, verrà; ma qual ei deve,
verrà nimico e tal l’attendo. Ei forse
ma s’inganna il crudele. Olà, qui tosto
le difese a me cedi; ed io con esse...
Opra da figlio e i primi falli emenda. (Si parte Adolfo con le guardie di Gustavo)
Disarmato è già il re. Non si trascuri
il favor della sorte. Olà.
Cedimi il brando. (Gustavo dà di mano alla spada)
Non mi obbligar col ferro
a un eccesso maggior. Cedi.
Già reso inerme è il braccio. (Teobaldo lo disarma con l’aiuto de’ suoi e fa incatenarlo)
E togli te di rischio e me di pena.
Pur cadesti, o malvagio. Or fra ritorte
e dell’illustre spada armi ’l tuo braccio.
O qualunque tu sia, lascia che al seno,
amico eroe, ti stringa. (Lo abbraccia)
Fe’ prigioniero il rapitor lascivo.
Ma qual sei tu, cui tanto devo?
quello, gran re... (Faramondo si alza la visiera dell’elmo)
Qual fiero oggetto, o lumi,
vi si appresenta! Ed ho potuto io stesso
il mio sangue, il mio cor?
Odio la libertà, s’ella è tuo dono;
arbitro di mia vita, al tuo furore
saprò torne il piacer, saprò svenarmi;
né al risoluto cor mancheran l’armi. (Getta da sé la spada datagli da Faramondo)
Del tuo furor l’impeto affrena e mira
(La virtù di quell’alma ancor pavento).
vi fui guida a’ perigli. Ite e lasciate
libero a’ Cimbri e al mio destino il campo. (Partono le guardie di Faramondo)
sol per tua libertà. Seppi ’l tuo rischio,
lo temei, ten difesi e il ciel mi arrise.
non mi resta a temer che l’altrui morte
ciò ch’è mio, tu mel devi. Io di quell’ire
propria vittima son. Vengo a morire.
come langue il tuo sdegno? E come a vista
del tuo nimico il perdi?) Ah, Faramondo,
hai vinto l’odio mio. Ma che mi giova
Giurata ho la tua morte; e il giuramento
Sarò a forza crudele; e innanzi all’ombra
sparso andrai del mio pianto e del tuo sangue.
che scender dee, né mi si tardi. Il chiedo
per mia pace alla figlia.
non ho cor da mirar. Lascia ch’io parta.
dopo il divieto mio sprezzi la vita,
passar. Ti seguirà quella che stimi
quest’ultimo piacer l’anima mia.
Clotilde, il tuo dolor mi ascondi.
Lieta vivi al tuo amante; e un sì bel nodo
in me fra l’ire, or da pietade è spento.
Sia di Adolfo Clotilde, al nodo assento.
a te il perdon. Né tuo vassallo ei nacque;
(Mia fortuna crudel, così ti piacque).
qual ti serbo il mio cor vicino a morte.
Libero a’ tuoi ritorna; e se ti offesi
d’involontario error perdon ti chiedo.
dagli occhi miei la cieca notte. Or veggio
qual amico in te perdo e orror ne sento. (Si cava l’elmo e dà la sua spada a Gustavo)
Ora il crine dell’elmo, ora del ferro
disarmo il fianco, a te lo porgo; ed egli
quella tinta, che prese iniquo e rio
del tuo figlio nel sen, perda nel mio.
Lagrime, non uscite. Ah, Faramondo,
anche amico mi dai tanto dolore?
già ti attende al gran colpo?
sia custodito al mio furor.
crudel, del tuo destino, il mio non curo.
dirmi ch’essendo tua sarò infelice?
Ti consola, chi sa? Riguardo i numi
avranno a un tanto eroe; né il vorran morto.
Siete, amabili voci, il mio conforto.
numi di Averno, orribil dea, severa
punitrice dell’ombre, omai reggete
più teme il sacerdote e l’are vostre
con più di orror non fur di sangue intrise.
qual fu Sveno trafitto e chi l’uccise.
Mi ascolta e poi ferisci.
E d’alto favor prometti ancora
non mi voglia richiesto, a te lo giuro.
Tel confermi Teobaldo. Ei gli fu padre.
Dimmi, rea di più colpe, anima infame,
gli fu? Perché ingannarmi? Il tuo timore
già ti accusa al mio sguardo, o traditore.
serie di casi in brevi note ascolta.
Della guerra fatal, mossa da’ Cimbri
ben ti dee sovvenir. Fu allor che nacque
il periglio e la gloria; e alla mia fede
Pugni, vinci e ritorni. Amor di padre
allor m’insegna i mal orditi inganni.
Vago che un dì regal diadema in fronte
che in pari età, mi avea concesso il cielo,
in loco del tuo Sveno il mio ti porgo.
Tuo lo credi, tuo l’ami e tuo lo piangi,
io piango la sua morte e il mio delitto.
E del mio figlio, iniquo,
Tel rendo in Childerico e a me perdona.
che tu ancor non m’inganni?
Perché non l’era a Childerico, io stesso
bramar potea che ne versassi il sangue.
mi ti addita, e il mio cor. Tanta virtude
non potea di un tal padre esser mai figlia.
fa vano il giuramento. Or, Faramondo,
vivi e scorda i tuoi mali. Or ti concedo
Rosimonda in isposa; ed ella omai
venga a goder di sì felici eventi.
Non mi opprimete il cor, dolci contenti.
Sol, Gernando, il tuo amor...
la colpa mia già me ne rese indegno;
un re, cui desti e libertade e regno.
che tragico apparato esser dovea
al cader del gran re, popoli, or sia
spettacolo giulivo alla sua gloria.
io sol devo l’onor del mio perdono.
Sposo, germano, or sì felice io sono.
Dovea compirsi il giuramento e tacqui.
padre, cader per quella mano istessa
fa’ che compagna io mi appresenti a Sveno.
Tu vivo e mio? Tu a me german? Quai beni
tutti ad un punto? Ed in me fede avranno?
Fu di tanto piacer fabbro un inganno.
saper che sei felice. Or plauda ogni alma
che dell’odio trionfa e dell’amore. (Scendono dalla macchina i seguaci della Virtù che accompagnano il canto del coro col ballo)