Quanto godrei che apposta
Signora, il solo tempo...
Laurindo, i tuoi principi
di ben che invan discende,
Questo signor scudiero (Al duca)
Chi ha fretta se ne vada;
Adunque io son quel Sancio
Si chiama don Chisciotte,
Tra la briglia e lo sprone
mi dà un po’ di fastidio,
che, in sua presenza, appena
Dir sospirando «oh dio!»,
a chi ne vien più fresca,
ma che vuol fare? È corte
ma in quanto al tor dell’armi,
Ti sei scordata il «mio».
mi par che in te risplenda
Tu ben sai quanto è d’uopo
corregga il gran delitto.
servano il valoroso. (Vengono due paggi e due damigelle con bacili, ove sia una spada con sua banda ed un cappello per don Chisciotte)
che in questo punto amore (Gli cinge la spada)
Sancio, m’ascolta. Avverti (Nel tempo stesso si lava e si asciutta le mani)
Non infilzar proverbi, (Il duca, la duchessa e Altisidora si accostano a tavola)
che il signor don Chisciotte
Già m’ha promessa un’isola
Signor, dice il proverbio (Sancio bacia i piedi al duca)
Inver che un sì bel giorno
che un dì veder la possa.
e si appressin que’ seggi.
Adesso. (Tira le sedie e si parte)
La storia, che va attorno
del signor don Chisciotte,
Pazienza, adesso, adesso. (Osserva attorno la sala se alcuno l’ascolta)
ch’io penso, e penso il vero,
Per quel che tu m’hai detto,
No, non temer, che il duca
presso a quest’uom ti assidi
son lungi, alcun de’ servi
Questo vuol dir la corte;
ch’io sia la tua buffona?
Ma infin questo non toglie
Chi sa ch’ei non si penta,
che in questo punto istesso
ti par che in me risplenda
col suo gran nome oscura;
Merlin, di cui son servo,
È Grillo e ben si adatta (Al duca)
torna a lui che ti manda,
Or or sarai servito. (Si parte)
posta a’ tuoi piè, dolente,
Caro mio sol, mia stella,
don Chisciotte adorato...
Parla, signora incognita.
fu il vecchio siniscalco.
fin d’allor che all’infanta
la tenti ogni altra mano,
Sancio gentil, tal cambio
Signore, andiam bel bello.
col foco de’ suoi sguardi
Io gli darò il buon viaggio.
Quel che vuol dir volare!
che siam nel loco stesso.
Leggi, o guerrier, tue lodi:
«Per vincere ogni impresa,
Posso soffrir che ingrato
questo mio fallo. Io lieto
Quanto è mai ver, Laurindo,
che spesso anco da’ mali,
gli sguardi e i sospir tronchi
Per via di chiari accenti
l’affar di mia figliuola.
il qual non ha coscienza,
che il ciel riposi in pace;
che par di latte e sangue,
che, s’egli a mio riflesso
la fuga. Al chiaro giorno
che, fra coppie sì belle,
v’ebbe sua parte anch’essa.
Quel niente poi l’è troppo;
Signore, a chi ha ventura
te l’ho scritte in un foglio.
Imbroglio sopra imbroglio.
spettanti al tuo mestiero,
Eccoti un bacio in fronte.
ma perdo un gran scudiero.
Orben, senz’altro accetto
Sparsi e divisi, in cerca
perché s’è rotto il collo,
sospetto a lei, che t’ama,
lontana, in quanto è d’uopo
ma il sangue non è acqua;
è un colpo troppo grande.
Signor, costui ben spesso
Presto, signor, che m’agita
Si vede in don Chisciotte
un uom ch’è nato all’armi.
Per te son io contento. (A don Alvaro)
che chiedon di combattere,
che don Chisciotte appellasi;
ch’è un matto spacciatissimo,
in primis per quel titolo
ch’egli ha voluto assumere
di tutto quanto l’ordine,
brutta, fetente e lurida,
con altre cose, eccetera,
Oh, che bestemmie orribili!
Quanto sei sciocco! Quella
A battaglia, a battaglia.
Sancio, Orlando è già vinto
e cede afflitto ed egro. (Successivamente tutti i cavalieri cedono a don Chisciotte)
dell’armi onore e gloria.
Perde il coraggio anch’esso.
che il signor don Chisciotte
gli ha vinti tutti quanti.