rimanti in queste selve. (Cardenio lascia Sancio e passeggia pensoso)
Sancio, pazienza. I pazzi
Cavalier, che anche ad onta
Tu il cavalier del bosco.
Fellon, mel niegherai? (S’alza con furia da sedere)
Come? Vil Madasima? (S’alza ancora don Chisciotte)
Leggi, leggi e ’l saprai. (Porge il libro a don Chisciotte che lo getta)
Sorgi. Il pazzo è partito. (Sancio aiuta don Chisciotte ad alzarsi)
Al Toboso; e un mio foglio
Che? Non conosci Aldonza?
Ma Aldonza non ti offese.
Ma penna, inchiostro e carta,
«Sancio, il fido scudiero,
tuo finché spiro e spero,
Hai ragion. Son contento.
don Chisciotte a’ suoi tetti.
O ch’io m’inganno o questi,
Che far? Dai tetti infami
Come or vaneggia ed erra?
Ah! Ah! Quel di cui parli
Qual follia qui ’l trattiene?
ben mi compiacqui anch’io.
Spera; e al vicino albergo
La mia fiamma, o Lucinda,
t’illustra e non ti offende.
lo so, sarei più illustre
Signor, non più al tuo amore,
Voi le siate, o miei fidi, (Partono le guardie con Lucinda)
Ma Cardenio... Eh! Sua colpa
(Principio a dargli fede).
Ma dimmi, ebbe il mio foglio?
O sorgi o quindi io parto.
Ti sei ben trasformato. (Ad Ordogno)
Così meglio ei s’inganni. (A Lope)
Dimmi, chi son costoro? (A Dorotea)
Questi è scudiero mio. (Accennando Cardenio)
Sancio, osservalo bene. (A Sancio sottovoce)
Presto, ch’ei nol ravvisi. (A Cardenio)
Ma che? Questa è la barba; (Don Chisciotte raccoglie la barba di Ordogno e poi la porge a Cardenio)
Ingegnoso è Cardenio. (A Lope)
Ben sostenne la frode. (A Dorotea)
Ma di’, qual è il tuo regno?
Soffri, signor, ch’io stessa... (Dorotea per aiutare ad armarlo)
Sira, nel tuo paese (Sancio si prostra a’ piedi di Dorotea)
quel di Mambrino. Andiamo.
Sieguimi. Io ti precedo. (Ordogno parte)
Fuggi da me? Se’ stolto. (A Sancio)
Hai ragion. Sancio, addio. (Lope parte)
Ma quando io ti pregassi,
Deh! Non partir sì presto.
Sia più cauto, o Cardenio,
Tempra, s’è ver che m’ami,
non è, o caro, un salvarmi.
Prove ho ben di tua fede...
spieghi l’ombre la notte,
Se il mio bene ti è caro,
Il vero è quel che giova.
Ma ch’io manchi di fede?...
Qual fede in fra gli amanti?
Più non arde in quegli occhi
da un’alma più tranquilla.
Non più, non più, fra i morti (Don Chisciotte serve Dorotea di braccio)
Tacer que’ pugni orrendi, (A Sancio sottovoce)
Strane avventure! E quali?
Ferma, o ladrone. (Mette mano alla spada)
Lodato il ciel. (In atto di partire; ed è fermato da don Chisciotte)
pria d’esser tuo campione,
È ver. Quel ladro infame,
per sua dea qualche bella
provasti in quell’albergo?
Tener la mia... Ma basta.
Don Chisciotte, ella t’ama.
Or vanne appunto; e s’ella
Pensa, deh! pensa al cane
Che chiedi al sorbo i pomi;
Moglie a me? Venga ancora
A Dulcinea lo chiedi. (Lo tiene in terra co’ piedi sul ventre)
Vieni, Lucinda, e cresca,
Quegli è mancego e un pazzo
Udiamlo. (A Lucinda) O benvenuto (A don Chisciotte)
Quale ne fia il soggetto?
Vediam quel che faranno. (Don Chisciotte si leva in piedi con la mano su la spada)
No? Tutti andrete a pezzi. (Con la spada rompe tutte le figure)
Sì, ch’ei viva e ch’io mora
Mendo, tempra il tuo affanno.
Lodo il pensier; ma dimmi.
Io stesso. A me de l’armi
diasi la lode e il merto.
Con lui che quinci è lunge
Egli è Pandafilando. (A Lope)
Morto è Pandafilando, (Don Chisciotte s’inginocchia a’ piedi di Mendo)
cadde l’iniquo. Io n’ebbi
Mendo, perdona. Ei dorme.
Eh! Signor, senza i maghi
Nulla ti arresti. Io sono
al tuo grado e a l’antica
Per cotesta, ch’io stringo
non ti rinfaccia il torto.
Tutti sono in tumulto (Dorotea non osserva don Chisciotte)
Qui opportuna la trovo. (A Sancio)
Compiuto ho ’l dover mio;
(Dulcinea, non lasciarmi).
che mi ami; e non sei sola;
Vieni a me che ti aspetto.
Chi ha mai tanta baldanza?
Mio gentil don Chisciotte...
Favella ad altri? Ah! Crudo.
Questo, questo è ben altro
Me le appresso. Or che brami? (Va sotto la finestra)
(S’io lo colgo, o che festa!)
(Posso farlo? Anzi ’l deggio,
Eccola e senza il guanto. (Le porge la mano, la quale da Maritorne è legata ai ferri della finestra)
Eccolo. (Vedendo don Chisciotte)
Ah! Questi è il mago. (Vedendo Mendo)
egli traggasi intanto. (I servi vanno intorno a don Chisciotte e lo legano)
Guardate ch’ei non fugga.
Mendo, ferma. Io prometto
Mi acheto e parto. Addio. (A Lope. Mendo parte col suo seguito)
Don Chisciotte ha ragione.
Perché? Ferma; e mi ascolta.
Vorrei sotto il bel giogo
può ancor la sua perfidia.
Troppo hai timido il core.
Prendi ed in questo vibra
togliti ancor dagli occhi
del tuo misfatto. Io posso
In quest’alma, ove a gara
Signor, piacesse al cielo
Da questa io non lo spero
o ’l cor sol le rammenti,
forse l’ha spaventato. (A Dorotea)
A tempo ei vien. Già sento
Leggi, leggi il cartello.
«Se tu da solo a solo (Don Chisciotte legge il cartello)
de la cavalleria. (A don Chisciotte)
Vile è questo gigante. (A don Chisciotte)
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Quegl’io son per chiarirti.
I miei son che, abbattuto,
Oh! Cadrà, vel prometto. (Agli altri)
per te l’armi già stringo;
questo imploro; e perdona
Su, vieni. Io già ti aspetto.
Ah! Voi ridete! Il cielo (A Fernando ed a Lucinda)
Traggasi altrove il vinto. (I seguaci di Ordogno vanno intorno a don Chisciotte)
Ma perché quella pugna? (A Lope)
Vedi? So ch’or vorresti; (A Sancio)
che passi il giorno estremo
Non più, qual mi credesti,
Io ’l barbier che, in vendetta
Tutti incanti son questi.
Quel di Mambrin fu l’elmo,
Tu vuoi ch’io parli? Ascolta,