Viva Fabio, viva, viva. (Di dentro)
non assolvo e non condanno.
contra un fallo ancor non certo
che sperando e gloria e merto
troverebbe infamia e danno.
che si mira a pascer sola,
fresco prato o molle erbetta.
Ma se vede che a lei riede
si consola e a lei d’intorno
e scherzando e saltellando
or la fugge ed or l’aspetta.
Sento applausi, miro allori,
Roma eccheggia, il Tebro esulta;
Dico a lui: «Bando ai dolori»;
Chiedo a lui perché si accori;
che nel grande un’alterezza
senza merto e senza onor.
Qual piacer, o Tebro invitto,
che verdeggi a le tue sponde
l’ombra ancor de le mie palme!
E che a te del già sconfitto
Sannio audace errino intorno
le dolenti e squallid’alme! (Scende dal carro)
Manlio vinse; e Tito, forte,
benché padre, il condannò.
Ma di Tito ancor gl’imperi,
de le leggi e del mio grado
Pria lo giudichi il Senato
(Ma in suo scampo io le guerriere
fide schiere accenderò). (Lucio Papirio entra in Roma e gli altri due vanno verso l’esercito)
Non dispetto, non speranza
sul destino del tuo figlio.
Ma del giusto e del dovere
farò legge al mio potere,
farò norma al mio consiglio.
ora in questa ed ora in quella,
ambe sfugge, abbraccia il porto.
Mugge intanto e va in que’ sassi
a spezzarsi il sordo mar.
Di trionfo e non di morte
degno è ’l forte, il vincitor.
Quella destra, al cui valor
ligia fu vittoria e sorte,
andrà stretta in fra ritorte
Di trionfo e non di morte
degno è ’l forte, il vincitor.
Né a quel capo, i cui sudori
spremé zelo e colse onor,
fian riparo i sacri allori
da la scure e dal littor.
Di trionfo e non di morte
degno è ’l forte, il vincitor.
Di trionfo e non di morte
degno è ’l forte, il vincitor.
In tua man sta vita e morte.
Scaglia folgori il tonante
e di orror gelan le fronti;
striscian quelle; e torri e monti
vanno intanto a fulminar.
Carlo augusto, ottimo Carlo,
gran al par di tua virtude
sia ’l tuo bene e ’l nostro amor.
giusto, pio, costante e prode,
tuo sia ’l pregio d’ogni lode,