La Tessaglia ov’io regno,
Vanne e un amor ti scorda
questo è ’l tuo sol comando
cui d’obbedir mi è tolto.
e col mio onore il figlio,
muovonsi gli astri avversi
mi sottrasse al periglio.
Tu sfuggisti. Egli estinte
langue il fratel di Aminta,
L’iniquo allor, che forse
va di sospiri e pianti...
non cancella i suoi falli,
Celia, ah Celia! Io vederlo
Perfido, io pur svenarti,
perché ancor nel mio sdegno
In che non vinco? Al corso
tu non hai chi t’agguagli.
Mira, Adrasto, in quegli occhi
che mi scorda il concerto,
del suo duolo o non sazia.
O col pianto o col sangue
Scegli almeno altro luogo
Caro Adrasto, al tuo zelo
sì, cara sposa, io vengo,
Egli è un guardian di pecore
non vedi ch’è un guardiano,
ch’entri amor nel tuo seno,
Né questo né quell’altro;
L’ebbi a dir quel che c’è,
c’è ch’io non voglio amori.
questa vecchia m’imbroglia).
Che si bolle e gorgoglia?
che terrò gli occhi aperti.
Sol per gli occhi di Silvio...
sfidai rischi e naufragi.
Non so ancor se sia questo
deggio e tentar grand’opra;
che tanto e tanto offesi,
Con qual cor? Con quai lumi?
spendi i preghi, usa l’arti;
No no... Rimanti... O dio!
(Quella è la mia Euridice).
(Quegli mi sembra Aminta)
Che fa l’empio? Che pensa?
Se’ tu Aminta o m’inganno?
se nol sai forse, io sono
Dovea crederlo ogni altro
senza svenarmi il figlio,
Hai la vittima e ’l ferro. (Le presenta il dardo)
che per morirti a’ piedi, (S’inginocchia)
Vuoi morte? E a me la chiedi? (Tace alquanto)
Odio, Aminta, il tuo fallo,
se ancor m’ami, prescrivi
leggi al tuo duol; sia questa
Ch’io t’ubbidisca e viva?
E mi ubbidisti? Il sangue
Va’, servi in corte, alfine
Con la vostra istruzione,
messo in disgrazia a lei.
non un pastor... Ma posso
Silvio, giugni opportuno.
Tu mel nieghi e non parli?
Lascia, lascia che pianga
Che linguaggio è mai questo?
O Celia! O amore! O sorte!
t’è l’amor mio, di’, parla;
del nostro amor più forte?
Io non più tua? Qual nume
ch’esca da’ suoi begli occhi,
Qual nuovo male, Adrasto?
quanto a te, quanto a noi
Muore, o ciel, la mia vita.
Adrasto, amici, il vostro
La vittoria è già nostra.
E che? Vorrai mal saggia,
Lascia che parta e intanto
quanto andria più giulivo
leggi ospitali? Il grande
or che morto è ’l mio sposo,
Rott’è ’l disegno. (Adrasto soprarriva con soldati)
Volle il ciel che in partendo
Or che se’ salva, oh dio!
Fermati, Aminta, ascolta,
Senti che al cor ti parla
Celia, Elpino, ancor dura
No no, duri il suo esiglio,
duri il mio duolo. Aminta
sta’ pur cheta, Euridice,
Viene Adrasto ad offrirti,
se i tuoi detti interrompe
del tuo amor non è degno?
Al mio bel Silvio in fronte
amor scrisse il mio fato.
quel Silvio me l’ha fatta.
ei guardommi in cagnesco;
quindi mi disse: «Andate,
Madonna Alcea, ch’è ’l perno
del ciel del vostro bello,
Eh via, quest’ira affrena;
che tu ti rompa il collo.
Eh, Silvio, allor che in soglio
lo seguo al bosco, al monte,
voi tornate, o miei lumi). (Veduta Celia si ferma)
Silvio, non son qual pensi
ninfa vil, donna abietta;
che più t’illustra, avvampo.
amor che in sen mi nacque,
figlio del tuo bel volto.
il più fier de’ miei mali.
L’amarti è gioia, è sorte;
Fermati; io ben t’intendo.
or pallida, or vermiglia,
ne accese i casti ardori.
pria tenebroso il giorno,
che ’l cor di Celia infido.
però che Celia anch’essa,
Sicché, o bella, incorrotta
Sì, tra voi che mi offrite
non al sol cui gli ascondo,
più di perdon? Il figlio,
vanne, ten priego, o caro,
la tua colpa e ’l mio sdegno.
e ch’io il sappia a te giovi.
Andiam; più lieti oggetti
tu m’ami e t’amo anch’io»?
vostro, dive, è ’l gran dono.
che ascoltino i miei voti.
ma se ’l figlio innocente
In lor confida; e ’l figlio
mi allevò ne’ suoi tetti.
Che? Dimmi, a cruda morte
me stessa ancor?) Ma quale
Or, mio sire, a’ tuoi piedi
più bella colpa? Io l’amo
Per supplizio a lui basti
ubbidisco. (Finge partire)
siam, ninfa. In questo punto
quanto mi lice; e appieno
Ma Silvio a te non nacque.
col grado anco altro core
Silvio, già morto a Celia,
cara Celia, il tuo affetto,
Pur sia reo, sia innocente,
L’ire, o principe, accheta;
altra vita, altra patria;