Aminta, Firenze, Vangelisti, 1703

 SCENA XVIII
 
 EURIDICE e AMINTA
 
 EURIDICE
 Cessate alfin, cessate...
 A DUE
                                            (Aimè, che veggio!)
 AMINTA
 (Quella è la mia Euridice).
 EURIDICE
 (Quegli mi sembra Aminta)
 AMINTA
 (Che farò?)
 EURIDICE
                         (Non m’inganno).
 AMINTA
                                                            (Ardisci, o core).
 EURIDICE
475Che fa l’empio? Che pensa?
 AMINTA
 Pensa morirti a’ piedi.
 EURIDICE
                                            Ah traditore!
 Se’ tu Aminta o m’inganno?
 Devo credere agli occhi?
 Devo dar fede al cor? Parla, rispondi.
 AMINTA
480No, mia giusta regina.
 No che Aminta non sono. Ei fu altre volte
 il tuo fido, il tuo sposo. Ei fece un tempo
 le tue delizie e tu le sue facesti.
 Io misero qual sono?
485Sono un crudele, un sanguinario, un empio,
 orror de’ tuoi pensieri,
 scopo dell’ire tue. Son quegli, o dio...
 EURIDICE
 Non più, iniquo, non più, troppo rammento
 gli oltraggi tuoi. Ben ti ravvisa il core;
490e sento che mi parla
 e conosco che parlo a un traditore.
 Ma tu ancora comprendi
 qual io mi sia? Vedi a chi parli? Io sono,
 se nol sai forse, io sono
495quella stessa Euridice...
 AMINTA
                                              Ahi!
 EURIDICE
                                                         Tu sospiri?
 Di che? Rammenti forse
 quanto ti amai? Quanto serbai pudica
 del giogo marital le caste leggi?
 O più tosto rammenti
500che in guiderdon della mia fede, ingrato,
 che in premio del mio amor le leggi hai poste
 di giudice e consorte
 tutte in oblio per condannarmi a morte?
 AMINTA
 Mia regina, ingannato
505dal perfido Euristeo,
 che far dovea? Che far potea? Chi mai
 temuta avria perfidia
 in un germano accusator? Chi mai...
 EURIDICE
 Dovea crederlo ogni altro
510ma non Aminta. Ei qual ragione avea
 di sospettare in me colpa sì enorme?
 Che non pensar qual vissi? E la mia vita
 ti servia di discolpa. Anche i delitti
 hanno il lor grado; e in un sol giorno istesso
515non si passa giammai
 da una grande innocenza a un grand’eccesso.
 AMINTA
 Errai, nol niego, errai
 ma l’error fu innocente; ei conceputo
 fu dal timor, non dal voler...
 EURIDICE
                                                     E dove
520apprendesti, spietato,
 a condannar senza difesa? Forse
 le discolpe attendesti?
 Maturasti l’accuse? Era inonesta?
 Quando? Con chi? Qual fu la prova? Un solo,
525un lieve indizio e ti perdono. Iniqua
 fu l’ingiusta sentenza
 soscritta dal tuo cor; l’esserti moglie
 era tutto il mio fallo. Ah, se volevi
 d’un eterno imeneo scior le ritorte,
530dovea bastarti almeno,
 senza svenarmi il figlio,
 senza tormi l’onor darmi la morte.
 AMINTA
 Regina, io sono il reo, tu se’ l’offesa.
 Del mio fallo non vengo
535a chiederti il perdon ma la vendetta.
 Hai la vittima e ’l ferro. (Le presenta il dardo)
 Non per altro viss’io
 che per cader dalla tua man ferito,
 che per morirti a’ piedi, (S’inginocchia)
540colpevole e pentito.
 Su, che fai? Che più badi? Il colpo attendo.
 EURIDICE
 Vuoi morte? E a me la chiedi? (Tace alquanto)
 Pensi che in crudeltà possa imitarti?
 Odio, Aminta, il tuo fallo,
545non la tua vita. Vivi,
 vivi pure infedel ma ’l tuo delitto (Aminta si leva)
 si asconda agli occhi miei. Vanne sì lunge
 che di te non mi resti altro che il nome
 ed il solo dolor di averti amato;
550se ancor m’ami, prescrivi
 leggi al tuo duol; sia questa
 la mia vendetta e la tua pena. Vivi.
 
    Vivi ma non ardir
 di rivedermi più, sposa tradita.
 
555   Soffri del tuo fallir
 la pena più crudel nella tua vita.