Metrica: interrogazione
483 endecasillabi (recitativo) in Il Tirsi Venezia, Nicolini, 1696 
Temo l’esempio altrui. Tirsi fan noto
Licori, Galatea, Dafne, Amarilli,
adorate da lui, da lui tradite.
Molte amai, non lo niego; in chi mi piacque
in chi una bionda chioma, un bianco seno;
qual mi allettò col labbro e qual col vezzo.
vezzo, labbro, pupilla e chioma e seno.
Amo tutte in te sola e tutto accolto
l’onor di più beltà dentro al tuo volto.
rado è fedele. Ah, Tirsi, Tirsi, io cerco
più nel tuo cuor che ne’ miei lumi; tutta
la gloria del mio volto è che tu l’ami.
Poicché presi ad amarti e fu dal primo
dimmi, Corinna, dimmi, a chi mai volsi
né pur furtivo il guardo? A chi giurai,
come a te qui la giuro, eterna fede?
Quando? Per chi ti fui spergiuro? Ah, cara,
che più teme il tuo cuor? Che più richiede?
Poicché fedel mi sei, poicché mel giuri,
Tirsi, t’apro il mio sen; prenditi il cuore,
già mi fe’ tua co’ tuoi begli occhi amore.
O grato dono! O care voci! E come
                                           E me il dolore? (A parte)
Tirsi, ragion ben hai d’esser sì lieto
E Corinna ha ragion d’andar giuliva
                                       Udisti, o Clori?
Fileno, udisti? E qual di voi non crede
arda tutto d’amor, tutto sia fede?
Poicché tu lo giurasti...
                                           E ch’io t’udii...
                                       Chi può temerne?
La tua beltade, o ninfa. Ah, se volevi
mostrarmi gli occhi tuoi con tanta luce.
Teco parlo, o spergiuro. Or or tu vieni
né già fui sorda o cieca...
                                              O quante volte
mal si accorda col labbro il cuor che tace!
misera, e ’l crede? ardenti affetti; e sola,
sola, Clori, tu sei la mia gran fiamma.
Le sospiro sugli occhi e sono tuoi
Le giuro fede e i giuramenti miei
per te ’l cuor concepisce e non per lei.
Fede non trova mai lingua bugiarda.
Vuoi ch’io creda al tuo amor?
                                                       Qual più t’aggrada,
A l’opre il crederai, se ’l nieghi al labbro.
                                                A me di fato
Se rival non m’è Tirsi, io son beato. (A parte)
Sugli occhi miei, su le mie luci istesse
vo’ che sprezzi Corinna e a me favelli
de l’amor tuo Tu impallidisci? E taci?
                             Sì poco chiedi.
                                                          Tanto
                    E m’amerai?
                                              Più che me stessa.
                       O speranze!
                                                               o Clori.
                                              Ascolta,
                                                               o Tirsi.
                                         E tu la fede.
Tirsi, benché infedel, forza è ch’io ’l dica,
                                            Fileno, appunto
da l’inconstanza mia vien la mia sorte.
Pianger per un sol volto e in più sospiri
divider l’alma è una follia, che solo
Titoli vani, inutili tormenti.
pascersi d’un sol fior l’ape ingegnosa?
d’un’onda sola si compiacque? E quando
posò le piume a meditarne il volo?
Te felice, o pastor, cui versa in seno
senz’altro affanno i suoi contenti amore.
e ’l tuo amor me la toglie. Ah, volgi altrove
l’occhio e ’l pensier. Sien di te vaghe quante
ninfe ha l’Arcadia. Io non t’invidio. Sola,
Non mi avrai più rival. Dal nuovo ardore
solo cambiai ma non infransi al cuore.
Ardo per Clori e per Corinna avvampo
ma d’un ardor che non mi strugge il cuore.
volger i miei pensieri a mille oggetti,
molti adescarne e non amarne alcuno.
questo è l’uso d’amar. Così quest’alma
l’antica libertà gode e riserba;
non giova a la beltà l’andar superba.
Ferma. Dafne son io, quella che un tempo
fu l’idol tuo, quella che amasti, iniquo;
ma no che non m’amasti. Il tuo, più tosto
per sentire il piacer del mio tormento.
M’è tolta ancor la libertà del pianto. (Si ritira e va ad appoggiarsi ad un albero in atto di piangere)
Dafne, così pensosa? In dì sì lieto,
sacro a Bacco e ad Amor, tu sola spargi
                                          Amiche ninfe,
non ride il ciglio, alor che piange il cuore.
Come poss’io gioir, tradita amante
S’io trovassi pastor qual è ’l tuo Tirsi,
con quell’alma infedel la mia vendetta.
Se lo strale d’amor fisso è ne l’alma,
invan lo scuoti; e a la crudel ferita
il balsamo è velen. Cresce ne’ mali
la rabbia del dolor, se vuoi sanarlo;
d’un barbaro conforto il pianto solo.
argomenti al tuo affanno. Eh fuga omai
                                   Vorrei né posso.
                                    Mel vieta amore.
                                 Perdi i consigli.
Io vo’ star sempre in gioie.
                                                  Io sempre in pianti.
                                            E tu, Licisco,
Io qui ascoso l’attendo...
                                             Io qui mi celo...
                 ridirle                sprezzati
Per poi                    i miei                  amori.
              spiegarle              scherniti
                                            Amabil Clori.
                                        Parti, o Licisco.
                                     Perché mi fuggi?
                                           Odio il tuo amore.
                                             Sempre importuno?
Ah, deponi una volta il fiero orgoglio.
Se tu brami il mio sangue...
                                                    Addio, Fileno.
                                                Addio, Licisco.
                                  Ecco, ti lascio. Ah senti.
Parla ma questi sien gli ultimi accenti.
             Mio Tirsi.
                                  Ora vedrai se t’amo. (A Clori)
                                    Qual ira?
                                                        Taci.
                                             Così mi piaci. (A Tirsi)
Crudel, perché mi affligi? In che peccai?
Quando infedel ti fui? Quando ti offesi?
la data fede, i giuramenti, iniquo?
Volgiti. O dio! Donami un guardo solo
de la tua crudeltà, mira il mio duolo.
Ninfa, a che perdi e le querele e i pianti?
Son io Tirsi o Fileno? A quanti chiedi
                                         O fido amante! (Sorridendo a Tirsi)
(Se il turba gelosia, Tirsi è costante). (A parte)
l’ombre gelose, i torbidi sospetti.
Tu sei di questo sen, tu di quest’alma
Tirsi, Tirsi, ove vai? Così mi lasci?
mi sprezzi e corri ad altra ninfa in seno?
Io ti rompo la fede? Ah no, tu solo
Tu mi fingi infedel per poi tradirmi.
Se il turba gelosia, Tirsi m’adora.
Tirsi t’adora? O misera Corinna.
                                      Ambe saremo omai
più nel dolor che ne l’amor rivali.
                                       Anch’io gli vidi.
                                    Ed io ne strinsi il laccio.
                                      Finti sospiri.
                                            Ed io fors’era
O vista che m’uccise! E non so come
possa viver ancor né quando possa
finir di lacrimar. Ma tu non piangi?
E non ti turbi? E l’ami? O fiacchi amori!
Tirsi per gelosia finge con Clori.
Anche questa è tradita e pur nol crede.
E forse al par di lei tradita è Clori.
serba il costume suo né obblia sé stesso.
Ah, spergiuro amator, de le tue frodi
gli arcani svelerò. Forse vedrai
dopo il tuo tradimento ancora amarti;
con l’inutil piacer de l’altrui pianto.
Meco in gara d’onor co’ lor concenti
                                     Giudice eletta
                                             Son pronta, o ninfe,
                             Or che si bada? A l’opra.
Amor sia solo il sogetto del canto.
Noi diam principio. Ogn’altra taccia intanto.
Clitia, e tu che più lenta? A che non dai
con la maestra man suono concorde?
Ma qual nuova armonia? (Segue il concerto de’ flauti) Giungi opportuna,
                                                  A miglior tempo
                                Voi qui fra tanto
ninfe e pastori, in lieta danza il passo.
                        Crudel.
                                        Lasciami.
                                                            Ascolta.
                            Pietà.
                                         T’inganni.
                                                              O dio!
                               A che mi fuggi? Infido,
Dafne, non per timor de la tua morte,
non per pietà del tuo dolor ma solo
ecco m’arresto; ecco t’ascolto. Parla.
                                       E ciò mi chiedi?
Misera, a che m’arresti? A me più volte
ripetesti noiosa i tuoi sospiri,
                                  Perfido...
                                                     Ascolta.
Se fingesti così per ingannarmi,
del pianto mio, mira, sì, mira un colpo
più de la tua impietà che del mio braccio.
Godi de la mia morte; ecco m’uccido».
Qui innalzi il dardo, al seno il vibri; ed io
miro, accorro, t’arresto e parto e rido.
Qual perfidia è la tua! Qual duolo è ’l mio!
Cieli ingiusti, e ’l soffrite? E ancora io l’amo?
Certo voi dal mio cuor solo apprendeste
a non punirlo iniquo e del mio esempio
benché infedel, benché spergiuro ed empio.
Segui il consiglio mio. Simula, o ninfa,
ire con l’infedel. Que’ finti sdegni,
a te fian di vendetta, a lui di pena.
l’alma tradir; né può celarsi amore
quell’impero avvilir che tien su’ cuori
la tua beltà? Tirsi t’offende e l’ami;
né ti risenti de l’offesa? Eh, ninfa,
a lui l’infedeltade, a te i tormenti.
Che può giovar quest’ira? Ad irritarlo.
Se non cura il tuo sdegno, egli non t’ama;
se ne ha dolor, vorrà placarlo; e avrete
tu più gloria, ei più fede, ambo più amore.
l’alma che sdegni chiede e si risveglia.
S’egli torna a Corinna, io son contento. (A parte)
Mal so finger con Tirsi; un sol suo sguardo
può tradir l’ire mie; ma s’egli è infido,
Ed ei, tu mi rispondi, è l’idol mio.
(Aimè! Qui l’incostante?)
                                                (Ahi! Qui Corinna?)
                               geloso egli
(Ma so ch’anche                          m’adora).
                               sdegnata ella
Sprezzi simulerò, benché bugiardi.
Durerò nel mio sdegno, ancorché finto.
             perdon                                        vinta.
Ma se                 mi chiede, io son già
              pietà                                           vinto.
                                           Spento è ’l tuo fuoco?
                                    Clori è ’l mio bene.
                                       Del tuo più biondo...
                                      Ne’ cari lumi...
                                                 Amor vi ride.
(Finge così ma gelosia l’uccide). (A parte)
                                      Non finger, Tirsi.
                                  L’ire ti leggo in fronte.
Ama pur chi ti aggrada; a me che importa?
Sciegli ninfa a tua voglia; a me che nuoce?
Mi mancano beltà, s’una mi lascia?
Mi mancano amator, s’un mi deride?
(Finge così ma gelosia l’uccide). (A parte)
                                  Clori, mio nume.
                                      Se tanto io t’amo...
                                       Puoi tu sprezzarmi?
(Corinna a me d’amore! A pena il credo).
Segui così, che più mi piaci, o caro.
Il mio costante amor sarà mercede, (A Tirsi)
Che ventura è la mia, veder che senti (A Corinna)
Con questo crin... (Mostrando Fileno)
                                   Con questi lumi... (Mostrando Clori)
                                                                      Al cuore...
                              E temprò i dardi...
                                                                  Amore.
(Chi di me più dovrebbe esser contento?)
              Filen, di che sospiri?
                                                      Ah Clori,
son nel colmo del bene e pur nol sento.
Fuga il vano timor. Fra i godimenti
il lagnarsi è follia. Di che ti attristi
                                           Addio, sospetti.
Già m’accingo a goder, corro ai diletti.
Non v’è gioia maggior, quanto col duolo
d’una rival schernita esser contenta.
Tacete omai, pastori e ninfe. Amore
                                      Solo a’ suoi vanti
si consacrino i viva e diansi i canti.
Chi a le glorie d’amor s’oppone audace?
                                           Amor nol cura.
                                Arcadi, udite.
Ha Cupido piacer, Bacco ha diletti.
Non sia chi li disgiunga; anzi ognun canti:
«Fuor di Bacco e di Amor non v’è dolcezza».
Fuor di Bacco e di Amor non v’è dolcezza! (S’uniscono i seguaci di Amore e quei di Bacco con suono, canto e ballo)
pur mi chiese perdon del suo sospetto;
più che mai m’è fedel. Misera Clori
meco si accinge a gareggiar d’amori.
Chi mai creduto avria, bella Corinna,
che il tuo crudo rigor cedesse alfine
a un più tenero affetto e tu dovessi
deposi il mio rigor? Ti fui pietosa?
Quando ti chiesi amor? Quando t’amai?
Mi muovon le tue voci e sdegno e riso.
Come? Poc’anzi io l’idol tuo?...
                                                         Tu menti.
                                        Ma ’l cuor niegava.
                                            Non ben l’intendi.
                                                 Inganna il volto.
                                          Va’ che sei stolto.
Ninfa, da’ lumi tuoi ben io comprendo
gli arcani del tuo cuor. Lieta ti fingi
per non farmi goder del tuo tormento.
O Tirsi non amasti; e così fai
o bugiardo il tuo amore o ’l tuo contento.
Sei misera e nol sai. Tirsi t’inganna
Intendo l’arti tue. Misera teco
vorresti farmi. Una rival delusa
per sollievo al suo duol cerca l’altrui
e mal si soffre una rival felice.
                                     Pietà non cerco
                                   Ami il tuo inganno
                            Anzi per me giammai
non gli avvampò fiamma più grande in seno.
Né t’avvedesti de la frode?
                                                  Eh, ninfa...
                         Di te ho dolore.
                                                       Ascolta.
                                    Tu la tradita.
Che più stiamo a garrir? Tirsi decida.
                     O lieto incontro!
                                                     O fausta sorte!
                                O quanto, ninfa, o quanto
rider vo’ del tuo scherno.
                                               Io del tuo pianto.
             T’arresta.
                                 Ascolta.
                                                  (Ah non v’è scampo!) (A parte)
che fur finti i tuoi sdegni.
                                                Anzi conferma
ora in faccia a Corinna i nostri amori.
(Che mai risolverò?) (A parte)
                                         «Questi, son questi»
dille «que’ strali onde trafitto io fui»;
i cari lacci onde rimasi avvinto»;
                       E non parli?
                                                (O labirinto!) (A parte)
                                      Perché nascondi
un amor che mi è gloria? A che t’infingi?
pegno che cerco a l’amor tuo.
                                                      Di tanto
il mio cuore si appaga e più non chiede.
la mercede a goder de’ tuoi sospiri».
poi ti dirò «felice amante in seno».
               Se baci vuoi, t’invita il labbro.
vieni e sarai fra le mie braccia avvinto.
              E taci?
                             E non parli?
                                                      O labirinto! (A parte)
                                     Così m’amasti?
                             Ah, mio bel Tirsi!
                                                               Ah, caro!
Che chiamasti poc’anzi unica speme.
Cui dicesti sovente: «Idolo mio».
                                      Or perché ’l taci?
                                                                       (O dio!)
Più non so tolerarti. Addio, spergiuro.
Più soffrirti non lice. Addio, infedele.
                                         (Aimè! Respiro).
Or vedrai chi è tradita. (A Corinna)
                                             Ho già risolto. (A parte)
Non v’offenda il mio amor. Belle ugualmente,
e mi piacciono, o Clori, i lumi tuoi.
Questo è l’amor? (A parte)
                                  Questa è la fede?
                                                                   Ingrato.
                                           A l’armi, o cuore.
Quanto l’amai, già lo detesto.
                                                      È spento
                                      Più non mi piace
Clori, veggo il tuo sdegno e ’l mio tu vedi.
Comune è ’l nostro torto e ci ha l’infido
tua rival negli amori e tua non meno
sarò ne l’ire; e tu m’irriti invano.
la viltà del mio cuor nel sen di Tirsi.
                              E nel suo sangue anch’io
                                        Resta che ’l luoco
si scielga a l’opra e ’l tempo. È più sicura,
                                          Il vicin bosco
il teatro sarà. Qui suol l’iniquo
l’aure goder d’antica quercia a l’ombra
chiuder i lumi in lusinghiero obblio.
versi l’anima infida e non ben certa
da qual di noi la prima piaga uscisse.
Tutto è disposto. A radunar m’invio
le amiche ninfe, onde più caute e forti
andiamo a l’opra. Io là t’attendo, o Clori.
Vedrà l’empio che possa un cuor di donna,
quando in odio crudel cangia gli amori.
Per scuoprirne l’intero, uopo è ch’io finga. (A parte)
Non ammette compagne il furor mio.
mi presagisce il cuor? Nel mio bel Tirsi
ei non vede che piaghe. O ninfe, o fiere,
più d’ogni angue spietate e d’ogni tigre,
nel sen di Tirsi a incrudelir vi spinge,
me venite a svenar che l’ho nel cuore. (Sopraggiunge Nicea)
Ninfa, vedesti Tirsi? (A Nicea)
                                        Io vidi...
                                                          E dove?
                                      Vidi... M’ascolta. (Madrigale boschereccio)
Nel mio duol son schernita Or che più bado?
Vengo, Tirsi, a morir se tarda forse
giungo a salvarti. O giusti dei, reggete
la pietà del mio passo; e se ne’ fati
ch’ei spiri nel mio braccio, io nel suo seno.
Simula ancor. Può tardar poco Alisa.
Che molli aurette! Un cheto sonno i lumi
dolcemente m’aggrava. Io qui m’assido.
che mormora vicin. Le scosse fronde
che rispondono... O dio... Mi turba il sonno
                                     (Anzi il tuo fallo). (A parte)
O soave armonia! Quanto opportuna,
mi giungi! Or qui t’assidi e a me permetti
far guancial del tuo seno a’ miei riposi.
Prenditi poi questo mio dardo in dono.
                                    Ninfa, or è tempo. Il suo
L’opra voi proseguite. Io parto. Addio.
Vedi che nol risvegli; e voi d’intorno
                                        Ah, come puote
tanta pace goder quel cuore iniquo
Che più si bada? A la vendetta, o Clori.
                                          Ecco lo sveno.
              Trema la destra. (In atto d’ucciderlo si fermano)
                                              Il cuor vien meno.
                                      Vano è ’l timore...
                                          E tu rammenta
                                          Il suo delitto
Pietà si nieghi a chi mancò di fede.
                           L’ira mi torna in seno.
                             Io già ’l trafigo.
                                                           O dio! (Come sopra)
                                          E ’l cuor vien meno.
Clori, l’odio è geloso e spesso teme
di consumarsi inutilmente. Ascolta.
Tirsi ancor dorme e noi perdiamo il meglio
se non la sente. A risvegliarlo andiamo.
Così due volte ei morirà trafitto,
e l’altra dal dolor del suo delitto.
han tanto di poter sul nostro sdegno
quelle pupille, e che faranno aperte?
Più fiero è l’odio mio che gli occhi suoi. (Corinna col dardo punge Tirsi lievemente nel braccio, ond’ei si risveglia)
Ah! Qual angue crudel... Sei tu, Corinna?
E tu pur Clori... E che chiedete, o ninfe? (Levandosi)
                                        Sì, la tua morte.
                                           Io morir deggio?
                                          Invan tu cerchi
                      (Or che far posso inerme e solo?) (A parte)
Pietà, ninfe, pietà. Son pur quel Tirsi...
Sì, quel Tirsi tu sei... No, di’ più tosto
quell’infedel, quel traditor, quell’empio;
che più t’amava? In quel momento istesso
quasi dovesse interessarsi il cielo
ne’ tradimenti tuoi, ne’ tuoi spergiuri?
lento è ancor in punirti, io stessa, infido,
ti punirò. Troppo finor l’orgoglio
ti accrebber le tue colpe e i miei dolori.
           Tu sospiri? Il pentimento è tardo.
Ferma, Corinna. Obblii sì tosto i patti?
I tuoi lamenti udì l’iniquo; io tacqui.
È giusto ancor ch’omai lo sgridi anch’io.
in libertà di sfogo il furor mio.
                                                E che? Son forse
A me fosti fedele? Io sì, spergiuro,
e tu schernirmi? E tu tradirmi? Ingrato.
                            Più non ritardo il colpo.
Fermate, inique, o voi morrete ancora.
                            (Aimè! Respiro).
                                                             Dafne,
mira chi vieni a preservare in vita.
Tirsi quell’infedel che t’ha tradita.
di chiedermi pietà? Forse conosci
giusto saria che ti lasciassi in preda
a l’odio altrui, che ti svenassi io stessa.
Ma non fia ver. Troppo ancor t’amo.
                                                                  O pena!
nel sen di Tirsi insanguinar la destra;
qui ’l ciel mi trasse a sua difesa e prima
passeranno nel mio le vostre piaghe.
Dafne, ragion non hai su’ nostri affetti.
                                    Frena i tuoi sdegni.
Rotto e ’l nostro disegno. Altra vendetta
                                        Che? Vivrà l’empio?...
                            Aimè!
                                          Che fia?
                                                            Che pensi?
Tu hai Filen che ti adora ed io Licisco.
nodo d’alto imeneo. Così, punito
da noi rimanga il traditor tradito.
Con l’infedel non v’è maggior vendetta
che ’l non curarlo. Andiamo. A’ suoi rivali
l’incostanza di Tirsi oggi ci unisca.
O dio!... Ninfe, più tosto...
                                                 Empio, rimanti,
son sorda a’ prieghi tuoi.
                                               Cieca a’ tuoi pianti.
                               Ferma, o crudele. Ascolta
le mie querele e poi mi lascia.
                                                        Dafne,
so che la vita a me serbasti. Parla.
La tua pietà, cui tanto devo, il merta.
Tirsi, a la mia pietà, per cui tu vivi,
nulla tu devi. In te serbai me stessa
sol la parte miglior de l’alma mia.
Ben molto devi a quell’amor che, ognora
de’ tuoi sprezzi nudrito e de’ miei pianti,
Duolmi del tuo dolor. Questo è sol quanto
                                    Se ognor di gelo
fossi stato al mio ardor, direi talvolta:
«Dura necessità vuol che non m’ami».
E incolperei di crudeltade il fato
Ma tu pure altre volte, ahi rimembranza
dolce insieme e crudel! tu pur m’amasti.
Fecer quest’occhi il tuo diletto e piacque,
questo volto a’ tuoi lumi e questo seno.
Se tu m’amasti alor perché lasciarmi?
Se t’infingesti, o dio! perché ingannarmi?
Dafne, t’amai, qual tu m’amasti...
                                                              Ah, Tirsi,
arde ancora il mio fuoco e ’l tuo già è spento.
Il tuo lieve scintilla, il mio fu incendio
che si stese ne l’alma, ove ancor vive
alimento a sé stesso; e vivrà eterno;
ninfa trovar di me più vaga, o caro,
Mi sento intenerir; ma troppo ancora
Corinna e Clori han di poter su l’alma.
che Dafne nel suo amor, ne l’odio vostro,
lo tradiste spergiuro; e Tirsi ancora,
Se vedessi il mio cuor, Dafne amorosa,
di me ti prenderia quella che brami
dolce pietà. Vedo che m’ami e vedo
tento e nol posso e se potessi, giovi
questa fede al tuo duolo, io t’amerei.
crudelissima speme, affetti miei?
                                       Io più nol curo.
                         Mia vita. (A Corinna)
                                            O caro laccio! (A Licisco)
Pur ti stringo, o tesoro, e a pena il credo.
Temo ancora ingannarmi e pur t’abbraccio.
Ninfe, è ver ciò che miro e ciò che ascolto?
Per non esser più mie, siete d’altrui?
                               Ed a Licisco anch’io
                                         Or che risolvi?
Che risolvo? Pentito eccomi...
                                                       Invano.
                   Ne avrò gioia.
                                                       contento.
                                           Ed io
                                                       tormento.
Sì, morirò poicché cotanto liete
Sì, morirò ma sul mio sasso almeno
                         Sei folle.
                                           Un pianto...
                                                                   È troppo.
                                  Ma a te, mia vita, in seno. (Improvisamente abbracciando Dafne)
                             O mio sperar deluso.
al possesso del cuor che più d’ogn’altra
meritasti fedel. Fe’ l’odio altrui
conoscermi il tuo amor. Le tue rivali
Lieto ti stringo; e voi godete omai;
nulla v’invidio, o fortunati amanti.
Godete pur, che col mio bene anch’io
nulla v’invidio, o fortunati amanti

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