Padre e nume, Alcide invitto,
d’un tuo germe a te son cari,
tu ben sai di qual delitto
son macchiati i patri lari.
Punitor di chi mi ha tolto
e fratelli e padre e regno,
qui mi tragge ardire e spene.
Ma l’idea del gran disegno
da te scende e in me sen viene.
non rispondo che vendette.
Al tradito, a l’innocente,
cruda strage un re promette.
Arder voglio a quella face
che mi strugge e che mi piace;
e a mio gusto, a mio talento
che ne l’alme il cielo imprime,
che lo sforzi a non amar.
Se in me trovi ingrato il core,
Piagge amiche fortunate...
festeggiate. Il mostro è ucciso!
E con onde al mar turbate
più non corra il bel Pamiso.
tu di madre, o scellerato,
il bel nome a me togliesti
Ma di madre in questo core
resta il duol, resta l’amore
Ma dal figlio il padre aspetta
e la chiede alla tua fede
a quel ben che m’innamora,
Ma il pensier de’ mali miei
toglie a me pace sì bella,
ciò che tace il mio rispetto.
Serva e peni il chiuso affetto
Fate voi che il ver s’intenda,
che risplenda l’innocenza;
e sul collo a l’empio cada
l’innocenza in braccio a morte.
Ma il morir non è il mio duolo;
empia madre e rea consorte. (Parte seguitata dalle guardie)
Son tiranno; ma nel soglio
vi dimando un guardo solo.
con più forza e più valor
la mia pena e ’l vostro duolo.
del tuo affetto il dolce oggetto,
per cui spento è ’l mio contento,
tu che il figlio hai trucidato.
Figlio, figlio... Non rispondi?
Vieni, vieni, ond’io ti baci.
Perché fuggi? Perché taci?