Amo, bramo; e non dispero,
per amar con più costanza;
ma non credo alla speranza,
per timor di più languir.
vo’ accusar l’avversa sorte;
ma non vo’ con falsa spene
farmi rea del mio martir.
Torna al padre, al bosco, al prato.
Che vuoi far? Sia tuo riposo
Più gentil, più vago sposo
in amar chi non può amarti.
Non ho pace. Il cor mi affretta.
Perdo l’ira e la vendetta,
se la tardo a quel crudel.
Pronta è l’ara. Ardon le tede.
Già già corre a dar sua fede
altra amante al mio infedel.
Sovra il crin gli accesi fulmini,
rispettando i lauri tuoi,
non ti scaglia il mio furor.
Ti abbagliò la troppa gloria
cieca in fasto e più in amor.
Te un oggetto a me di orror
fa rancor di tua perfidia,
Ascondeano agli occhi miei
l’esser tuo palme e trofei;
ma per me troppo è deforme
Sotto un faggio o lungo un rio
spero ancor con l’idol mio
starmi assisa, o selve amate.
E con lui di quando in quando,
or ridendo, or sospirando,
rammentar le pene andate.
Sovra il soglio de’ regnanti
siedon anche affanni e doglie;
copre i guai ma non li toglie. (Siede)
Già m’accheto. Già conosco
il tenor della mia stella.
Già mi attende il natio bosco.
germe illustre, amabil dono,
sei la gioia e l’amor sei
di più voti e di più regni.
tutto il zel de’ nostri affanni.
Risarcite hai l’aspre pene
e repressi i rei disegni.