grand’esempio e gran pena,
Le tue vittorie, Ernando,
del poter nostro. Hai vinto;
vieni, onde al sen ti stringa,
non dee lasciarmi ingrato.
Vil non fia ciò che puote
tutto il premio ch’io cerco
che non fia chi ’l sorpassi
E ch’ei tema, gli aggiugni,
che un mio servo, un Ernando
l’illustre principessa...
stranieri in quella corte...
vi affissate, o miei lumi?
l’alto onor di inchinarti.
scambievol fiamma; io seco
si strinse il sacro nodo.
fa’ ch’io ’l sappia, onde fine
Ma quale è il tuo consiglio?
Temi il mal, non il bene.
l’amor, la fede, Ernando.
Da lei che adori or prendi
non è offesa al tuo grado,
ti trasporta il tuo sdegno.
grave offesa è al tuo grado.
Questo è ’l tuo sol comando
Questo è ’l tuo sol desio
Gran re, quel che poc’anzi
più dell’Istro e del Tebro,
prencipe, i passi. A quanto
Questo che al re presento
«Per quanto ha di più sacro,
signor. Mentito è ’l grado,
tuo egual, che meco io trassi
per mia bocca or t’invita
Al vicin giorno, Ernando,
son reo. Lascia che almeno
Sia l’ubbidirti, o bella,
Parli ’l labbro e ’l confessi,
Fuor del mio sposo, ogn’altra
Felice incontro; arresta,
Egli è il prence e l’erede
già sposa ad altri amplessi.
giunser mai con gl’incensi
raggi propizi e in questa
anche i più brevi indugi,
O tu, che ancor non veggio
t’è di Lucinda e ’l nome?
Dunque all’armi, spergiuro.
Su, stringi il ferro e temi
Sei vinto ed è il tuo torto
pien di scorno e di duolo
La notte avanza; e ’l prence
non viene ancora, ei solo
Che acciaro è quel? Che sangue
ne stilla ancor? Qual colpo
Che orror, che turbamento
andai... Veni... L’amore...
Lo sdegno... Una ne l’altra
Gran timido è un gran reo.
le più atroci vendette...
Ma nol dicesti, o figlio,
Io morto? Ho vita, ho spirto
Signor, che il tuo potere
che ’l tuo dolor mi chiede.
Senza offenderti, o sire,
Del pari ambo i tuoi figli
per me avvampar. Ma ’l foco
sparso era il ciel, quando egli
su le mie soglie istesse,
traffitto... Ahimè... Perdona
la mia, non la tua causa.
Quell’orror, quel pallore,
quegli occhi a terra fissi,
(Già cedo al nuovo affanno).
Eccola, o re. Già ’l core
il suo periglio è certo).
(Lungi, o teneri affetti).
tal le mie nozze il fanno;
Regina, il pianto affrena,
Ben ne ho dolor ma indegno
Ed or, bella, a’ tuoi piedi
sia l’amor tuo, del primo
tuo pianto io son contenta.
le stringe e questa reggia
Figlio, in onta a tue colpe
Tutt’altro oggi attendevi
m’è ’l dono tuo. Lo accetto,
Ah tempra, o cara, i pianti;
Crudel, sei sposo ancora.
Anzi questo è ’l sol nome
che più m’è caro, io meco
Va’ pur, ti è cara, il veggio,
si avvilisce il tuo sdegno?
Pera anche il re; ma ’l colpo
che tu ’l comandi o ’l vibri?
tutt’incendio e tutt’armi
Io dar perdono? Ernando...
non stanchi il tuo soffrire,
Giorno, oh quanto diverso
Prostrato al regio piede,
Per me non vegga il regno
L’avrai quando anche fosse
rompi ogni indugio ed arma
tu non cerchi al periglio,
Sono infranti i suoi ceppi,
Sieguami ognuno. Il mondo
ch’io chieder posso; ah prima
v’è chi s’opponga, questo,
del mio, del vostro eccesso
volontario a’ tuoi ceppi;
(Cor, non anche t’intendo).
(Gioie, non mi opprimete).