Venceslao, Genova, Franchelli, 1717 (Il Venceslao)

 SCENA IV
 
 LUCINDA, CASIMIRO
 
 LUCINDA
 Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
995giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
 ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi sei più crudel, meno m’offendi.
 CASIMIRO
1000Ah tempra, o cara, i pianti;
 per me tutto il martire
 è il lasciarti, ben mio, non il morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
1005che sofferire il possa?
 Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
 amor, forza e ragione.
 Ecciterò ne’ popoli lo sdegno,
 empirò d’ire il regno,
1010di tumulti la reggia,
 tratterò ferro e foco.
 
    E se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
1015ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
 Il re mi è padre. Io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, sei sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi t’uccide.
 Nieghi il nome di sposo a chi ti adora.
 CASIMIRO
1020Anzi questo è ’l sol nome
 che più m’è caro, io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante;
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur, ti è cara, il veggio,
1025la morte tua. Vanne, l’incontra; a l’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò dal ferro uccisa
 o dal dolor.
 CASIMIRO
                        Tu piangi?
 Tergi le luci, addio.
1030Più soffrir non poss’io
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto; non ho costanza
 per rimirarti a piangere.
1035Sposa, ti abbraccio. Addio.
 
    Se più rimango, io moro.
 Ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.