vieni, o di questa pompa,
Siedo, augusto. (Si serva
sì dolci escon gli accenti,
tua la gloria; un augusto
L’altrui morte (A Berenice)
tu accostavi al tuo labbro;
O tu, che al par de l’opre
ecco in breve i miei torti.
Troppo audace favelli. (Snudando un ferro, va per ucciderlo)
Non sempre a le mie mense
giunser Claudio e Lucilla.
(Quella che inique stelle
(Quella per cui sta l’alma,
Tu cui, dovunque aggrada,
tratto un mio fido. A lui
del suo maggior periglio,
Quanto, augusta, qui molli
Ecco Lucio, ecco augusto.
Qual destin, principessa,
Compie oggi l’anno appunto,
fai che a quest’ermo lido
Vinsi, è vero; ma ’l vinto
Suo nunzio e suo ministro
Spesso un zelo indiscreto
Pur tutto, Claudio, al grado
di chi t’invia messaggio,
Seguo, augusto, i tuoi passi,
Che non ti deggio? (A Niso)
mio dolce ben, mio sposo,
tu mi vedi, io t’abbraccio.
m’aprì l’ingresso il canto
Ciò che tentai ti è noto.
può giovar sangue o pianto,
pianto e sangue si versi.
Vadasi a’ piè d’augusto...
d’espormi a più gran mali.
l’alto onor de’ tuoi sguardi.
vi andrei con un tuo dono.
io d’un gran bene ed egli
perché? No, non m’inganno.
l’amor d’augusto e ’l mio.
Che veggio? Ah Berenice! (Berenice si gitta nell’anfiteatro)
né rea né spettatrice (S’apre una picciola porta)
Aimè! Tardo fu ’l cenno. (N’esce una tigre)
Tu lo tentasti? (Ad Aniceto)
Re de’ Parti, t’abbraccio.
cuopra gli andati eventi.
Sugli occhi miei l’infido
Ecco il giorno, in cui devo
Signor, poiché al mio zelo,
lascia ancor che ti spieghi
Altra e maggior consorte,
già ti ammettono al pondo
Ma non quando ella uccide.
a che aspiri e che perdi.
Vedo il periglio e ’l temo;
in sì bel giorno applaude,
è ’l miglior di sue forze.
Dunque a che mi consigli?
Chiedi a te ciò che vuoi;
Ma se ’l destin mi sforza,
va tra’ rami e tra’ fiori,
(Che mai sarà?) Ubbidisco. (Si assidono)
se allo stato in cui sei,
Signore, in pochi accenti
e, se tentarmi, è offesa.
Quell’alto onor, quel grande
No, che amarti non voglio,
Con occhio asciutto ognora
Vedrem se ha più possanza
S’ei rinonzia al tuo letto,
Ti sorprende il mio arrivo?
Sì, Lucilla, il confesso.
Invan da que’ begli occhi
convengono al mio eccesso;
del tuo cuor, del tuo labbro
Col trofeo del mio pianto
ti assolvea nel mio cuore;
Tu la cerchi cogli occhi,
con fronte più tranquilla
L’alma, augusto, raccolta
Spezzo i tuoi ceppi e quanto
È ver, ma per lei sola...
E se al don non assento? (Si leva)
Che mai far deggio? Io, sposo,
Sì, che più sto dubbiosa?
che con Claudio tu parta.
Re, che ancor tal ne’ ceppi
Già quest’alma è risolta.
Vanne a cesare e digli (Prende Vologeso per mano)
Digli che attendo anch’io
qual parti e qual rimango.
A chi vivrei, te estinto?
poiché ’l chiede la sorte,
che di scherzo e di giuoco.
Su’ vostr’occhi un ingrato,
ch’è infedele ad Aurelio?
Qual fra le nostre leggi,
Tutto è pronto ed attende
per giugnere a un diletto (Va sul trono)
dimmi, dov’è il mio sposo?
Sì, vedrò... Ma che ascolto?
Già s’apre (S’apre una porta)
Cesare, o Berenice, (Prende il bacino e lo depone sopra d’un tavolino)
Tu lo discuopri e ’l mira.
sudo, agghiaccio... O codarda
che più badi a scoprirlo?
Che farò? Proteggete, (Lucio Vero passeggia senza guardarla)
Eccoti, augusto, a’ piedi
più che accenti dal labbro, (Lucio Vero la mira attento)
se a l’afflitta innocenza
Hai punito il mio orgoglio.
da l’altrui morte avresti?
salva il tuo onor. Ten priego
quei, che sì mal sostieni
Claudio, con men di fasto
quel valor, che mel diede, (Impugna la spada)
Deporlo (Tutti fanno lo stesso)
i colpi e l’ire. Claudio,
Io stessa in su quel trono,
gli affetti tuoi mi rendi;
mentir non osa il labbro.
legge è l’amor che giova.
quindi uscì la tua morte.
del sangue del mio sposo?
egli è morto. Ecco il ferro
Vanne... Aimè! Voi cedete,
Berenice, si mora. (Alza il ferro per uccidersi)
Per tuo cenno ei già offerto
quando l’aria ad un punto
col fier ministro. Io, presa
Vologeso, e ’l tuo braccio