di qual fiamma avvampi il cor.
e ’l conforto al mio dolor.
fida scorta il ciel si fa.
né più teme quel mar che sfuggì.
e si scorda que’ lacci onde uscì.
vi trovo la beltà ma non la fé.
non mi chiedere il perché.
So che inganni, non ti amerò.
che l’amarne un traditor.
ingannata, anche il suo onor.
Armi ha ’l ciel per gastigar
quella amando ed or questa beltà.
da più fiori succhiando sen va.
Chi sa che il nume arcier
ti ho tradita e ti amerò».
e ’l mio cor non sa perché. (Casimiro, in atto di deporre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre, alzando gli occhi, vede il figliuolo)
e più accresce il tuo dolor.
mi sapesti tu giusto serbar.
giusto ancora saprò conservar.
idol mio, per te languir.
Ombre squalide, furie di amor,
già sul ciglio a trionfar.
sommo ancora è ’l suo piacer.
più ’l mio destin crudel.
L’arte, sì, del ben regnar
da me il mondo apprenderà.
ma l’amor languir non può.
Non mi dir di amarmi più,
anima senza fé, senza pietà.
Perché con me? Perché tanta impietà?
tempo e sorte, amor e fé.