veder ch’empia il mio letto
Tal Griselda a me piacque;
miro lei co’ vostri occhi.
qual io fui, qual tu fosti.
Tua bontà fu, cui piacque
La Sicilia, ove io regno,
torna all’ire e m’insulta.
Ah no... Griselda mora. (Si leva)
Moglie più non mi sei. (Levandosi)
che mel cinse e mel diede,
Se ti piaccio in tal guisa,
Or al porto... (Veduta Griselda ammutisce)
Dunque, Gualtiero, addio.
Ecco il tempo, in cui l’alma
Col tormi un sì gran bene
del mio coraggio in onta,
resta il cor di Griselda.
anche in braccio a Gualtiero
Un tuo sguardo, Griselda,
Troppo avvezza è Griselda
un di affetto, un di sangue,
Costanza, eccoti in porto.
Ah, che un sol lampo appena
Verrò, se pur ti piace...
ch’amo ancor né più spero,
L’arcano in te racchiudi. (A Corrado)
tace; e i timidi affetti,
Lascia che anch’io, regina,
Gran re, troppo mi onori.
perché sin da’ primi anni
Sol per mio mal le stelle,
Griselda? E non partisti?
tua bontà, non mio merto.
Vengo sol da quegli occhi,
sì, da quegli occhi ond’ardo,
bella e gentil! Tu stessa
Vedi s’io mento. (Dandole il ritratto)
Oh numi! (Lo mira attenta)
Quai sembianze! Qual volto!
ne’ suoi lumi ha i tuoi lumi,
Ella torna a’ suoi boschi,
la pietà, che a me neghi,
al tuo, non al mio sangue.
Torna a’ boschi e ti affretta.
Qual chiedesti, ecco il figlio.
Ciò che imposi eseguisci. (Piano ad Elpino)
per non soffrir tuoi sguardi,
Qui pur soggiorno un tempo
E del cor di Gualtiero...
Pria che d’amar ti lasci,
Ubbidisco... E sì tosto (Mostra di partire e poi si ferma)
Digli che umil quest’alma
Là nel bosco t’aspetta. (Si parte)
Ch’io ti perda e non pianga?
languì? S’infranse? Al fasto
cedé l’amor? Spergiura...
Non si pianga il suo grado,
del mio Gualtiero impressi,
Andiam, Griselda, andiamo
sparge il bosco gli orrori,
Infelice! E non moro? (Piange)
Or ti avvicina. (Ad Elpino)
Ah! Otone. (Risospingendo Elpino che se le accosta)
Io ten presento un altro,
non men casto e più fermo.
Dove, o crudo, apprendesti
Gualtier vuol che si uccida.
Puoi salvar madre e figlio,
riedi alla reggia e taci.
Sinché il re, dietro l’orme
vil tugurio... Che miro? (Vede Griselda che dorme)
Oimè! (Si risveglia e si leva)
(O tu, pensier, m’inganni?)
ti trasse al rozzo albergo,
sol che di re son figlia.
che nella Puglia ha scettro.
parea strigner, dormendo,
Oh! La figlia tu fossi,..
Ma s’io di re son figlia...
quella un tempo mia moglie
che Oton ver questa parte
co’ miei fidi vi accorsi.
Dia luogo ognun. Che perdo,
Non lasciar che in tal sorte
Viene Oton. Sola, inerme,
che far posso? Il mio dardo (Va a prendere il suo dardo, lasciato sul letto)
Temi dunque il mio amore.
Numi, soccorso, aita. (Il re apre l’uscio e si avanza)
(Qui il re? Sorte nemica).
senza premio il tuo zelo.
Puoi deporlo in mia mano.
Non mio dono o tuo merto,
Una vita infelice, (A Costanza)
tace il labbro e il conferma.
timido cor). Mio sire, (S’inginocchia)
libero a me ragiona. (Otone si leva)
Sa il ciel se allor che in trono
A me venga Griselda. (Alle guardie, levandosi)
lieta, o sire, i tuoi cenni.
col tuo imeneo già estinte.
quel dolor che t’ingombra,
nutro in seno gli ardori.
(Cor, l’ascolti e non mori?)
Troppo offendi, Griselda,
Che all’ara sacra accenda
Sì, questo sol, poi parti.
sappi tutto il mio errore;
Cessa d’amarmi o il taci;
Va’ pur; t’affretto anch’io.
Con si tenero affetto (A Costanza)
Con sì onesto rispetto (A Roberto)
nel suo stesso soggiorno,
Roberto, or ch’io son moglie,
Saprallo il re. L’offende
Non mi astringer, ten prego,
giura il mal nato ardore.
ch’ogni accento, ogni sguardo
Vuole il re ch’io non parta.
Lo sposo impon ch’io t’ami.
Che più chiedi? (Piano a Gualtiero)
L’estrema (Piano a Corrado)
Ti avanza; e tu, Griselda...
(Gioie, non mi uccidete).
venni ancella alla reggia,
ministra a’ tuoi sponsali.
Ma ch’io d’Oton sia sposa?
Che sia d’altri il mio core,
la mia fede, il mio amore?
e prostrata lo chieggo, (S’inginocchia né Gualtiero la riguarda)
Gran re, solo è mia colpa
nelle grandi il mio esempio.
non è ancor la tua gioia?