Metrica: interrogazione
71 ottonari in Faramondo Venezia, Pasquali, 1744 
   Più crudel negli occhi tuoi
   Sento già che il fier tiranno
e in mirarti un novo affanno
turba i sensi e passa al cor.
   Spera, sì, ma di placar
quel destin che ti è spietato.
   Cor non uso a paventar,
spesso a forza di costanza,
cangia i numi e vince il fato.
   Son rival, non infedele;
   Con lasciarlo in tante pene
   Chi ben ama, ogni altro affetto
vuol che ceda e il fa tacer.
   Nel desio del caro oggetto
chi è di voi che mi risponda?
   Ah, il piacer voi mi negate
perché il mio non è che pianto,
pianto è sol che il cor m’inonda. (Esce Gustavo dal bosco e con ferro ignudo si avventa improvviso alla vita di Faramondo. Adolfo lo rattiene, ponendosi innanzi di lui. Ed intanto accorrono alla difesa di Faramondo i di lui soldati ch’erano in lontano)
   Mor la vita senza il core;
more il cor senza il suo bene.
   Ho la vita, ove ho l’amore;
senz’amor non ho che pene.
   E a non esser sì spietato
dal suo esempio apprenderà.
   Se morendo i puoi placar,
   A te do l’ultimo amplesso; (A Clotilde)
e in partir l’ultimo sguardo (A Rosimonda)
   crudo il porgi o pur pietoso,
   Dallo sdegno e dall’amore
   Dar perdono più non lice;
   Si punisca l’empio, sì,
Di un suo figlio? Ah, ch’io l’adoro;
   Vuoi vedermi il cor trafitto?
   La mia colpa è tua vendetta,
che se amor fa il mio delitto,
   L’alma brilla in sen tranquilla
   So che incerto è il ben che spero;
   Voglio stragi e cerco affetti;
   Cadrà l’empio; avrò la vaga
che mi offende e che m’impiaga,
   Sì, tacete... O dio! Pavento
   Voi restate e qui godete, (A Clotilde ed Adolfo)
   Ch’io do bando a’ miei tormenti,

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