Più crudel negli occhi tuoi
mi si rende il mio dolor.
Sento già che il fier tiranno
e in mirarti un novo affanno
turba i sensi e passa al cor.
quel destin che ti è spietato.
spesso a forza di costanza,
cangia i numi e vince il fato.
e sol chiedo, al caro bene,
Con lasciarlo in tante pene
Chi ben ama, ogni altro affetto
vuol che ceda e il fa tacer.
Nel desio del caro oggetto
trova solo il suo piacer.
chi è di voi che mi risponda?
Ah, il piacer voi mi negate
perché il mio non è che pianto,
pianto è sol che il cor m’inonda. (Esce Gustavo dal bosco e con ferro ignudo si avventa improvviso alla vita di Faramondo. Adolfo lo rattiene, ponendosi innanzi di lui. Ed intanto accorrono alla difesa di Faramondo i di lui soldati ch’erano in lontano)
Mor la vita senza il core;
more il cor senza il suo bene.
Ho la vita, ove ho l’amore;
senz’amor non ho che pene.
E a non esser sì spietato
dal suo esempio apprenderà.
Se morendo i puoi placar,
A te do l’ultimo amplesso; (A Clotilde)
e in partir l’ultimo sguardo (A Rosimonda)
chiedo a te, volto amoroso;
crudo il porgi o pur pietoso,
sol diletto e sol riposo.
Dallo sdegno e dall’amore
Dar perdono più non lice;
nella vita... O dio! di chi?
Di un suo figlio? Ah, ch’io l’adoro;
più fomento al mio martoro.
Vuoi vedermi il cor trafitto?
Nel mio amore il puoi mirar.
La mia colpa è tua vendetta,
che se amor fa il mio delitto,
anche amor fa il mio penar.
L’alma brilla in sen tranquilla
mi fa cor con la sua pace.
So che incerto è il ben che spero;
ma fia vero o sia fallace,
dolce inganno sempre piace.
Voglio stragi e cerco affetti;
Cadrà l’empio; avrò la vaga
che mi offende e che m’impiaga,
ei rivale a’ miei diletti,
ella ingrata al mio penar.
deh, lasciatemi in riposo.
Sì, tacete... O dio! Pavento
Voi restate e qui godete, (A Clotilde ed Adolfo)
fortunati, il vostro amor.
Ch’io do bando a’ miei tormenti,
del mio bene i dolci accenti
rimembrando a questo cor.