Cieli! Dei! chi mi dà aita?
Non v’è scampo a l’onestà?
Torno a’ ceppi e sol vi lascio
Fate a lui sereno aspetto,
perché in voi ritrovi almeno
quella pace e quel diletto
Vuole amore e vuole il regno
ch’armi il cuor di crudeltà.
Troppo è dolce e caro a l’alma
il godere un scettro in calma
sarò amico e sarò amante.
Potrà in me, più che ’l timore,
l’amistà d’un caro oggetto
e l’amor d’un bel sembiante.
Fa’ ch’io mora ed il mio sangue
Ombra ignuda e spirto esangue,
farò guerra al tuo riposo
e ’l tuo error ti punirà.
Corri, va’, di’ al mio diletto
ch’io lo salvo e ch’io l’adoro.
Digli poi che, nel suo affetto,
cara pace al mio martoro.
Stringi, abbraccia, o dolce amore.
Ne l’amor del tuo diletto
certa sei del tuo piacer.
ei nel tuo, tu nel suo affetto,
parto, sì, ma resta il core.
Ei ti parli e ti risponda.
Tu comprendi il suo gran fuoco
dal piacer che già l’inonda.
Bramo infido il caro amante;
poi mi pento e ’l vo’ fedel.
Il suo cuor, nel dubbio fato,
mi tormenta s’è costante,
Vivo ancora; e nel mio sdegno
Son monarca; e nel mio regno,
entro al sangue e in mezzo al pianto,
miglior grana io spargerò.
Alma mia, sei tu schernita
da chi amasti? Io ne ho timor.
Se vogl’io con la speranza
lusingarti e farti ardita,
o non trovo in te costanza
o ne ha solo il tuo dolor.
Parto, sì; ma ’l ciel, ch’è giusto,
Per punir la tua baldanza
T’amerei, che ne sei degno,
se ancor fossi in libertà.
Ma ben sai che poco è forte
Il piacer di farmi oltraggio
par che applauda al fier disegno;
io le insegno ad esser forte.
Quando s’ama, è una gran pena
trarre il cuor di servitù.
Sfere voi del mio destino,
col dolor l’alma affligete,
Se mi rendi il caro bene,
Ma se penso a le tue pene,
Godi pur del tuo contento
né ti affliga il mio penar.
Darò pace al mio tormento