«Quel che stringi» ei mi dice
opre son del suo braccio;
Bramo il tuo sangue, bramo
Grazie agli dei. T’inchino
Ma qual duolo ancor serbi?
Vanne, o crudel. Non sempre
Principessa, al tuo pianto
Tu Clizia sei che siegui (Ad Ildegarde)
che non ti ascolta, i passi.
Tu Citerea. Ravviso (A Veremonda)
Io Ambleto? E dov’è il padre?
Se piacciono a un nemico,
Vincesti; eguale al merto
Si è vinto, o gran monarca,
se qualche prezzo a l’opra
Ma che ingiusto tu voglia
Libera ho l’alma e in lei
Se a le tue brame, o duce,
Vieni, o duce, agli onori.
Ed è ver ch’io ti deggia...
Tal parvi agli occhi tuoi,
Due volte il fato estremo
Ma non hai salvo il figlio,
Ah! T’intendo, o tiranno.
Pur senti, io non impetro
che a te non toglie il grado
(E tuttavia mi sdegna?) (Guarda per la scena)
qui se le mora al piede).
(Si avvalora il sospetto).
(Sono anche incerto). Il prence
scosso il lor giogo. Io duce
Tu taci e scorta il prence,
Sì, ma perdona, o sire...
Tu meno al tuo bel ciglio.
ma ’l tuo col mio destino
convien che tu ’l difenda
E tu sai l’ardimento (A Valdemaro)
(Par che per me favelli).
Ma il lasciarla in periglio
que’ fantasmi, quell’ombre
che gli offuscan la mente?
Cieli! Che sarà mai? (Entra in una stanza)
de’ suoi fidi è ’l più caro.
Ma tu, d’alor che al fianco
Addietro, o donna. Amplessi
Manca anche questa, o figlio,
Già son fuor de la reggia
Non lasciar che impunite...
(Che resti Ambleto? E ch’io
Va’ dunque. Anch’io da lungi
miglior de l’alma offeso.
Né guardar ch’io sia solo;
Rispetta il cenno; ed oggi
Cedo il mio amor. Perdona
Qual rischio a te figuri?
Dunque al gioir, se lice.
Vano è ’l pensier. Chi seppe
pensai dentro al mio core
O sia stolto o s’infinga,
Deh! Mio re. Deh! Mio sposo...
Un sì ingiusto decreto...
oggi, che più ’l tuo labbro
ch’io ’l meritai maggiore
Stelle! Qual legge è questa?
Qual scampo in sì grand’uopo?
in quest’ombre s’insulta.
Sì, principessa, e questo,
temi più che il tuo amore;
gran parte avrà ne l’opra.
Per lui prese avria ’l campo
Il consiglier de l’empio?
Senza lui questo giorno...
A’ tuoi be’ lumi appresso.
T’inganni. Eccolo espresso.
con la tua destra il core.
Or via, perché non chiedi
Bramo solo che il seno...
Quando Ambleto, dal soglio
Degno ch’io l’ami è ’l duce;
ma indarno ei si consola.
vuol ch’io sia sol Gerilda.
Ma il valor di più destre
Che sento? Hai cor che possa
Parla. Il dono d’un regno
Or vieni e qui ti assidi. (A Veremonda)
(Ambleto, a che mi astringi?)
si temprino gli ardori...
lo spargo a voi d’intorno.
Non vedi arder le stelle?
(Io ne intendo il mistero).
Orsù, questo è ’l momento
a la danza, a la danza. (Siegue il ballo)
(E tu berrai la morte). (Parte)
Chi credi più assetato, (A Siffrido che torna; e gli leva la coppa dalle mani)
Hai ragione, hai ragione.
Non festeggia di un empio
sia lieto il viver nostro;
(Risponda pur lo sdegno).
Porgi, o bella, la destra.
stan gli armati in agguato.
Tal sii ma di Orvendillo.
Chi me qui trasse? E questa,
Resta, che del tuo amore,
ch’io ’l custodisca. Vieni.
Questo acciaro, che forte (Torna con spada nuda)
Qui ’l tolsi a’ vostri colpi;
ma ’l tolsi, eccone il sangue,
per gloria del mio braccio.