d’ossa sparso e di sangue,
mie sembianze han la colpa
qua e là errante, celarmi.
Guai per me... No, Vonone.
che far pensi? A sì vasta
strage colui si aggiunga.
in Palmide, ella è dessa,
degli Arsacidi il sangue.
Ah, mi tradisti. (Anileo e Geronzio parlano sommesso fra loro)
Dammi il ferro o qui ’l vibra.
Feci il dover. Ti accheta.
Fortunato è il rincontro. (A Geronzio)
pria ver l’amico ingrato,
Tu, Geronzio, da’ il segno;
Questo fu assai; ma quanto
A tante armi, ond’è cinta,
So che al campo esser deve
strada il previeni; e digli
Che s’ira è in lui maggiore
Qui si attenda il gran duce;
Ma a qual de’ miei disastri
Sdegnerai, sommo duce?...
Il mio esilio o il mio fato.
Con qual core il soffristi?
dal volger contra i Parti
cui non posso apprestarmi,
senza esser reo di un’ira
ne sta afflitto ora il campo.
e al grido de’ tuoi merti
fatto han l’ultimo sforzo
che il lor quasi pareggi.
ragionar. Piaccia al cielo
O mia prima, o mia illustre
Un re, che altrui defraudi
di premio anche promesso,
qual d’Artabano al fianco,
e su l’altre avrai scettro
quel di scherno e d’infamia.
del mio eroe nel suo esiglio
Ma grazie al cielo, ho tanto
Quello a che son costretto.
Quell’audacia a che ostenti?
Palmide... Oimè! (Mirando verso Palmide)
Ornospade, (Dal poggiuolo)
Seguimi. Il primo passo (Prima a Geronzio, poi a Ornospade)
che avanzi in quella soglia
fia a Palmide funesto. (Entra Anileo con Geronzio per la stessa porta, per cui era già entrata Palmide, e vi resta l’altro soldato per guardia come prima. Palmide e il soldato si ritirano dal poggiuolo)
volto a me offrirti? A tanto
crebbe, il veggo, in te orgoglio,
che han sorpreso il tuo core,
la sua colpa; l’accresce.
del mio ossequio intendesti;
non me la ottien, la bella
per altri? E di un’offesa
Quanto egli è, quanto ei vive
Per non sciorne i legami,
lei che non puoi tua sposa.
Chi di voi me ne assolve?
ch’io non t’invidi un bene
or fiamma, or pallidezza;
e in merto al tuo Ornospade,
Sì, ma rara; e anche questa
Con sì afflitto sembiante
Palmide, anch’io; ma quanto
Vinti abbiamo altri mali...
T’ama il re nostro e t’offre
t’ho ceduta. Il mio amore
il perderti a tal prezzo.
già sarei grande; e senza
Se i tuoi casi, Ornospade,
Quel, che al tuo re facesti,
diss’io che più non giova
chi ti parla e chi t’ama.
della sua bella a fronte,
consigliò il tuo rifiuto.
Giunto è al campo Metello,
vuol che tu renda il trono,
nel loro sen. Per quella,
qui a sorprender verranno
tento in pro del suo amore.
O per noi verace (A Mitridate)
lasciarmi alla mia sorte.
E per mia colpa a morte... (Piange)
Ei d’amor le favella. (A Mitridate)
E d’amor piange anch’ella. (A Palmide)
Per tradirti ebbi ingegno
Voi qui!... Per qual mia sorte?...
No. Il primo (A Mitridate)
perché fui la più amante.
ancor? Via, tu pur rompi (A Mitridate)
vo’ più. (In atto di partire)
Su, togliamci a ogni sguardo,
Piacciati una discolpa...
Pensa al mortal suo rischio.
da quel mostro e da quella
chi si obblia nel rispetto.
perché il crede spergiuro.
Dirò a lui d’Ornospade?...
Penso all’amico e ogni ombra
dal cor già mi si sgombra.
Penso all’amante e ancora
soffrir, che non so in lei
fieno in pro d’Ornospade;
Tosto. (In atto di partire)
Ma se innocente ei fosse?
Va’ dunque; e al simulacro,
contra i rei pena ed ira,
che, fatto mia conquista,
Cada, o mio re, s’io mento,
l’alma feroce. (A Palmide)
Ancora... (A Palmide trattenendola)
O generoso (Corre ad Anileo)
ti è a cor; s’appo un’offesa
che, se mi neghi il dono,
L’accresce anzi e l’affretta.
vaglia in mezzo a quel core,
la tua rabbia mi opprime.
che al mio. Tosto a quel sasso
Tu il sacrifizio affretta.
le tenebre? In quel petto
le mani al sasso avvinte.
non la vita in lui spenta
sia in ben ferir maestra.
che nel tuo nome io vibro.
O nodi, o non mai tanto (Facendo sforzi per disciorsi)
O pien di fede, (Abbracciandolo)
L’amor con cui ti stringo,
Or che un tal don mi viene
Nisea. L’ama in tuo sposo.
Che dunque? Il tuo gran bene
col ver, non coll’affetto.