nel proprio sangue avvolta,
sino al duro, all’estremo
mi si tolga dagli occhi. (Si chiudono le cortine del letto)
Vive ancora in quest’alma
in che, dimmi, ti offesi?
guerra a’ tuoi regni? E quando,
Su, compisci i suoi voti,
Servi all’empio Gernando;
dall’odio mio! Quel volto
Chi sa ch’io non le renda
Faramondo, al tuo braccio
ma ch’io lasci il possesso
Tolga il ciel che alle sacre
che mi han fatto gli dei.
Si affretti; e un colpo solo,
la densa notte e il franco
che cadei ne’ tuoi ceppi,
Non mi aspettar men forte,
ti fan pietade, io stesso
vendichi il regio sangue.
Siam pur fuori, o Clotilde,
Ben sai qual ne sia il reo.
Che i tuoi delitti approvi?
col vendicarli. Ah, iniquo,
fia reso il tolto; e quando
che tu vegga il mio duolo.
Sveno e gli dei? Promessa
Sì, Clotilde, il mio seno
Clotilde, il so, disprezza
Su, d’intorno, o guerrieri,
Pietoso il cielo e giusto,
col fatal teschio. Intanto
Struggerò il nome franco,
ti allontani il tuo fallo.
vuoi far ritorno a un padre,
tutto in me non si stanca;
Ite, o guerrieri. Altrove
Signor, dacché ti abbraccio
Quegli, che a te sen viene,
giovi udir ciò ch’ei chiede.
Lo gradisco; e que’ nodi,
Principessa, a’ tuoi lumi
tutto impiega il tuo sdegno.
Va’, perfido, e v’immergi
Sai qual premio ne avrai?
(Tant’odio anche nel padre!)
sotto all’armi de’ Franchi,
col sottrarmi al periglio,
l’ombra di Sveno estinto!
Non ti doler. D’ogni altro
sol bramo, anzi che mora.
Clotilde, ah, se tu m’ami,
Se la chiedo al mio fato,
Oimè! Desso egli è forse?
(In qual rischio il compiango!)
principessa, a’ tuoi piedi.
Frenar chi puote il pianto?
l’han co’ dardi, che scocchi,
che alla tua man non lice,
fuorché al padre Gustavo,
Degna di atto sì illustre
Benché reo, pur tuo figlio,
Aspettarli è altrui colpa;
la bramasti a’ tuoi piedi.
Signor, pria che li esponga,
Ti vo’ più giusto. Estingui
di chi l’uccise il sangue.
Quest’io giurai; né puote
ma abborrir saprò il figlio
Se di quanto hai più caro
perdi una parte, l’altra,
La udii; né i rischi miei
I tuoi ceppi, i tuoi mali
Io peria, se a tal prezzo
e in te la perdo, o cara.
Lascia pur che quest’occhi
con l’onor del tuo affetto.
Nega altrui quella destra
né abborrir, te ne prego,
di amor, temo il tuo pianto.
al suo amor si prometta...
prigionier nel suo campo,
che se il neghi, è mia pena,
sire, il giusto tuo sdegno;
ciò che il re non ottenne.
perché non sia a Gernando
L’odio, che in me tu vedi,
qual fu? Come ingannasti,
Lascia dunque a Gernando...
farò strada a un delitto.
ripien contro un ingrato,
principessa, qui attendo.
Qui ’l prigionier mi guida;
e mi arreca il suo brando.
Mia gloria è l’ubbidirti.
l’ira, il pubblico grido,
Ah, che a un cor, che ben ami,
e il mio onor te ne scioglie.
Quella spada, che stringi,
Se m’ami, altrui contendi
e, perché in te si estingua
Poich’esser tua non posso,
che de’ tuoi, de’ miei casi
decida il ciel, prescrivi
Padre, un affetto è amore
pur non cerco al mio fallo.
non più intese e che fede
che il suo furor. Me pieno
fa de’ suoi mostri; e solo
Gustavo, or che al tuo sdegno
il suo orgoglio, il tuo amore.
Ah, pria che que’ bei lumi
seggio e carta, o custodi.
Ha, Teobaldo, il tuo esempio
morremo; e là fra l’ombre
(Quai mi stracciano l’alma
ciò ch’il mondo disgiunge.
Principi, al giusto affanno
Che sarà?... Ma, Gernando
Non più, che a te consacra
scender le franche genti.
che gran pena, a chi spera
Gustavo il re de’ Cimbri,
Pria che il giorno tramonti,
e qual ei non mi attende.
Vanne, Adolfo. Il tuo ferro
quai guerrieri son questi?
ha pietà de’ miei casi? (Fuggono le guardie di Teobaldo. Teobaldo cade ad un colpo di Faramondo)
non isdegnar ch’io stesso
franga l’indegno laccio; (Discioglie Gustavo; e, presa di terra la di lui spada, gliela presenta)
porger il dolce amplesso?
Né mel disse in quel punto
quale a te mi appresento.
Miei guerrieri, abbastanza
di Sveno, ombra tu esangue,
Signor, giusto è quel colpo,
per mio gastigo al padre,
ragion, vuol darti almeno
e prigioniero io il feci.
Chi avria potuto, Adolfo,
Sire, ti arresta. Il colpo
è ingiusto e i numi offende.
Qual sei tu che prescrivi
Del sangue del tuo figlio
contumaci al tuo scettro,
Sveno. Te chiama all’armi
sfavillasse a un sol figlio,
Tutta cada in Teobaldo (Qui principia a comparir la macchina)
che ti richiedo, è questo.
Viva, sì, che al suo inganno
la sua morte il mio labbro.
Or ch’ei morì, ti chiedo,
che lui trafisse; ah, seco