la conquista di quel core.
Col timor si espugna il vile
con la fede e con l’amore.
la tua sorte e il mio riposo,
l’odio vinci e il dona a me.
Se ti cedo, o bel sembiante,
non mi dire infido amante;
Se vedessi il fier dolore
e il diresti a me nimico.
Non l’avete a vendicarmi?
Prezzo forse io son sì vile
che non merti un atto forte?
Mi sovvien. Rispetto in te
più modestia e men baldanza.
da sfidar con novi oltraggi
nel mio sen la tolleranza.
Non credea che affanni e cure
ricoprisse un regal manto.
Non credea che affanni e cure
ricoprisse un regal manto.
Tu vedesti il pianto mio.
Vedi ancor del padre il sangue;
ma in dolor sì acerbo e rio
è suo sangue anche il mio pianto.
Più dirà quel corpo esangue
che non disse il mio dolore;
e vedrai qual sia quel core
che ti amò, che amasti tanto.
L’amor mio nol chiede a te.
Ma la fede il chiede a me;
Torto è questo e non amor.
qual più tema ancor non sa.
Con l’affetto, col dispetto,
Ma non temo del tuo sdegno
né mi piace il tuo sembiante.
Ciò che pensi e ciò che tenti
e coll’opra e coll’ingegno,
se nol son, fa ch’io diventi
tua nimica e non tua amante. (Entra nella città)
Da te prendo, o regal destra,
la tua fede in sì bel dono.
in cui sol temea di morte;
a te viva il guerrier forte
che sostegno è del tuo trono.
Di Virtude, augusta Elisa,
fu lavoro il tuo bel core.
Compì l’opra e n’ebbe onore
in formarlo al suo simile,
pien di fede e di valore,
senza fasto in grande impero,
sempre eccelso e sempre umile.