Metrica: interrogazione
109 ottonari in Venceslao Monaco, Straub, 1725 
   Abbiam vinto, amico regno,
n’è tuo frutto e gloria e pace.
   Del fellon superbo e fiero
vedi il teschio, in suol straniero
insepolto il busto giace. (Ernando scende dalla macchina e si avanza verso del re Venceslao che viene ad incontrarlo)
   Se ti offendo, tacerò;
di qual fiamma avvampi il cor.
   Cercherò ne l’ubbidirti
e ’l conforto al mio dolor.
   Ti consiglio a far ritorno,
   Col piacer che siate miei,
   Da voi parto sì contento
che in lasciarvi più non sento
   Bocca bella, del mio duolo
non mi chiedere il perché.
   Il saper ti basti solo
   Non amarmi, non pregarmi.
è l’amare un cor crudele
che l’amarne un traditor.
Il suo amor piange sprezzata,
ingannata,   anche il suo onor.
   Commun bene, amica diva,
bella Pace, ognun ti onori;
ed a l’ombra degli allori
cresca ognor tua verde uliva.
   Care spiagge, amato regno,
ferme gioie a voi prometto.
   Qui sia riso e qui diletto
né lo turbi invidia o sdegno.
   Armi ha ’l ciel per gastigar
l’impietà su regie fronti;
   e più spesso ei fulminar
suole irato e torri e monti.
   Parto amante e parto amico,
   Se nol credi o te ne offendi,
la fortezza di quest’alma,
   D’ire armato il braccio forte
   Duolmi sol che il fier rivale
sotto a questo acciar reale
   D’aspri nodi amor chi cinge
se li scuote più li stringe
né più sciolto il cor sen va.
   E peggior la prigionia
   Cara parte di quest’alma, (Se gli accosta)
torna, torna ad abbraciarmi.
                             A l’armi, a l’armi. (Casimiro dà di mano alla spada e con impeto da sé risospigne Lucinda)
   Traditore, più che amore
brami piaghe e vuoi svenarmi?
   Nel seren di quel sembiante
   E saprà di un incostante
   Dolci brame di vendetta,
già la vittima cadé. (Casimiro, in atto di deporre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre alzando gli occhi vede il figliuolo)
   Grida il sangue e la ferita
del tuo figlio e del mio sposo;
tempo è ormai di vendicarmi.
   Deh assicura il suo riposo
   Da te parto e parto afflitto,
   Ma poi tacqui il dolce nome
che più aggrava il mio delitto
e più accresce il tuo dolor.
                      Abbraccia...
                                              Questo petto.
                           Mio diletto.
   Senti, senti questo core,
come immenso è in lui l’amore,
sommo ancora è ’l suo piacer.
   E se teco io non vivrò,
   Piega umil de’ venti all’onte
gentil pianta la sua fronte
fra l’aurette ad ischerzar.
   Agitata così l’alma
   L’arte, sì, del ben regnar
da me ’l mondo apprenderà.
   Ei vedrà che so serbar
   Può languir l’ira nel petto
ma l’amor languir non può.
   Per trofeo di mia costanza,
   Viva e regni Casimiro.
  Non mi dir d’amarmi più,
   Vivi, regna fortunato,
   Te si unisca a far beato
tempo e sorte, amor e fé.

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