Metrica: interrogazione
146 ottonari in Venceslao Venezia, Albrizzi, 1703 
   Abbiam vinto; amico regno,
n’è tuo frutto e gloria e pace.
   Del fellon superbo e fiero
vedi il teschio; in suol straniero
insepolto il busto giace. (Ernando scende dalla macchina e si avanza verso del re Venceslao che viene ad incontrarlo)
   Se ti offendo, tacerò;
di qual fiamma avvampi il cor.
   Cercherò ne l’ubbidirti
e ’l conforto al mio dolor.
   Ti consiglio a far ritorno.
   Col piacer che siate miei,
   Da voi parto sì contento
che in lasciarvi più non sento
   Bocca bella, del mio duolo
   Non amarmi, non pregarmi,
   Il suo amor piange sprezzata,
ingannata, anche il suo onor.
   Comun bene, amica diva,
cresca ognor tua verde uliva.
   Più non vien tromba nociva
e al valor del forte Ernando
l’alta gloria sol si ascriva.
   Là de l’Istro in su la riva
cadde estinto il fiero Adrasto;
ma cadendo egli ha più fasto
se un eroe di vita il priva.
   Già con alma più giuliva
e al piacer de’ nostri cori
eco fanno i lieti viva. (Gli spettatori vanno tutti a’ loro posti a sedere)
   Care spiagge, amato regno,
   Qui sia riso e qui diletto;
né lo turbi invidia o sdegno.
   Armi ha ’l ciel per gastigar
l’impietà su regie fronti;
   e più spesso ei fulminar
suole irato e torri e monti.
   Parto amante e parto amico,
   Se nol credi o te ne offendi,
la fortezza di quest’alma,
   D’ire armato il braccio forte
   Duolmi sol che il fier rivale
   Cara parte di quest’alma, (Se gli accosta)
torna, torna ad abbracciarmi.
                             A l’armi, a l’armi. (Casimiro dà di mano alla spada e con impeto da sé risospigne Lucinda)
   Traditore, più che amore,
brami piaghe e vuoi svenarmi?
   Nel seren di quel sembiante
   E saprà di un incostante
   Più fedele e più amoroso
   Ei dirà: «Mia cara vita,
   Dolci brame di vendetta,
   Voi dovreste esser più liete
e ’l mio cor non sa perché. (Casimiro, in atto di deporre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre, alzando gli occhi, vede il figliuolo)
   Da te parto e parto afflitto,
   Ma poi tacqui il dolce nome
che più aggrava il mio delitto
   Sarà gloria a la costanza
   Toglie il merito a la fede
   Date morte... Ah no! Fermate
                      Abbraccia...
                                              Questo petto.
                           Mio diletto.
   Senti, senti questo core,
come immenso è in lui l’amore,
sommo ancora è ’l suo piacer.
   e se teco io non vivrò,
   Taci, amor; cedi, natura;
   Oggi vuol la mia sciagura
che a punir mi affretti un figlio
   L’arte, sì, del ben regnar
da me ’l mondo apprenderà.
   Ei vedrà che so serbar
   Può languir l’ira nel petto
ma l’amor languir non può.
   Per trofeo di mia costanza,
   Non mi dir di amarmi più,
   Vivi e regna fortunato,
   Te si unisca a far beato
   Sia trionfo ogni tua guerra,
   Tuoi vessilli spiega ardito
   Quel che t’arde, o re, nel core
non è sangue, un foco egli è.
   Per dar fregio al regal manto
oro ha ’l Tago e perle il mar.
Ma tu sai con più bel vanto
   Per far serto a le tue chiome
Sarò angusta al tuo gran nome,
se al tuo scettro basterò. (Siegue la danza di popoli festeggianti con suono e canto)
   Vivi e regna fortunato,
   Te si unisca a far beato

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