Metrica: interrogazione
464 settenari (recitativo) in Sirita Venezia, Pasquali, 1744 
pieghi ’l rigido core,
vuoi tu, signor, che resti
Giovane è ancor la figlia;
e qual del sesso è l’uso,
Il ciel già non ti diede
perché tu l’abbia a vile.
rischio di chi ’l possiede,
diè natura il suo pregio,
all’uom senno e fortezza;
a voi che diè? Bellezza,
Folle! E tu l’esser bella,
No no, son tutti, o padre,
Solo a te stessa, o figlia,
vedrai ben tosto. Un troppo
egli è un voler che tutta
dare a’ tuoi preghi, almeno
Principi, udiste. Un guardo
Può stare arcano in corte,
qual gittato in gran fiamma
Deh, m’aita e consiglia.
È ver; né ha forza in lei
la tua per l’altrui vita.
                      Fingi disprezzo;
sia di amor, sia di sdegno,
                            Irriti
Non più. Cauto gli agguati
disponi e l’armi. In breve
Sol mai non cadde, in cui,
di strali armate e d’arco,
Ma donde un tal consiglio?
Ottaro, il cui bel volto (Accennando il ritratto di lui)
che tu con l’incostanza.
gli affetti a te promessi.
non seguir ch’io ti diedi?
Rimprovero ch’è giusto. (Ad Iroldo)
Anche lo scherno al torto? (Sta in disparte come pensosa)
t’innalzi e fuggi amore,
E là s’indrizzi ’l passo.
e l’altre aduna... Ah, quella
negli atti e nel sembiante!
Altro è il labbro, altro il core.
Vedi là quel che di elmo (Mostrando il ritratto di Ottaro, appeso tra gli altri nella galleria)
Cui fuor dell’armi certa
                    Egli ’l re sveco
                                   Invitto.
Alcuno ei fia de’ nostri
Lo sprezzator di Alinda...
grazia, fortezza e gloria,
qual toglie ad aurea vesta
più t’ama e più del regno...
                                  E servo.
               Questi m’impose,
l’arte ha vinta sé stessa.
Stupido il grande osservo...
Vedi gli aurati strali (Prende da un altro un fascio di dardi)
Ma più gloria è dell’alme
Lusinghiero ed audace. (A Romilda)
son le sembianze? O quelle
l’amante e i doni. Ei vada.
e ch’è più lieve impresa
Ite; il bosco cingete; (Ad una parte delle sue guardie, la quale dipoi se ne va)
                                 Alinda,
                                È salva
che quai piacciono all’occhio
fulmineo dente e gli occhi
drizzagli in fronte e il ferro,
Ma che? Di sangue asciutto
cimento; e stassi in atto,
Oh, se a lui spazio allora
Fra loro, io ne son certa,
e dal cielo e dal padre».
                              Al rischio
                                Romilda...
                            Iroldo?
                              Da speme
qual se stretto in sue braccia
                                  Iroldo
Può dall’amore all’odio
Taci. È vero. In quest’alma,
Non t’infinger, Romilda.
e s’or vi assente il core,
dagli occhi e dalle labbra.
in cui mi entrò nell’alma
Signor, ciò che in Iroldo
chiami colpa, è già colpa.
Son l’opre di chi serve,
Uom non v’ha più perverso
                            Seguito
(Cor mio, siamo al cimento.
ei più vegga il suo torto;
più fidi o noi più forti.
Sinché spirto v’ha in uomo,
Volgiti ed a’ tuoi sguardi
Ma se il guardo non regge (Snuda la spada)
Stringilo e fa’ ch’ei perda (Gliela presenta)
(O dio! Qual non più inteso
e ch’io ti offenda, ingrata.
Sirita, ecco mi uccido. (In atto di ferirsi)
sviene. Già cade. O cieli! (Corre a sostenerla e le lascia cadere a’ piedi la spada)
mi appresti il vicin rio... (Si allontana alquanto e Sirita allora si leva e con prestezza raccoglie di terra la spada caduta)
(Vien la serpe all’incanto).
All’onor de’ tuoi ceppi
di sua grandezza, un guardo
del tuo l’esempio e sprezzo...
No no, che a sì gran prezzo
anch’io io tua fede assolvo.
tal fissa e assorta anch’io
Né questo è il primo giorno
né il primo, in cui mi accendi
No no, la tua costanza, (Alzando la voce)
(Si duol de’ miei rigori).
Al mio dir non si scuote. (Piano a Romilda)
Tolga il ciel ch’io più voglia
Questo del tuo consiglio (Piano a Romilda)
Fu mio primo e sol voto (Accostandosi a Sirita)
Sì bell’ira sostieni. (Piano ad Ottaro)
È deluso il mio sdegno. (Piano a Romilda)
                          Romilda,
Lieta oltre l’uso e adorna
                                 Ammutisci?
                       Al cimento.
                        Ogni altra
Mira il mio scoglio. (Mostrandogli Sirita)
                                      Alinda,
non è amor che m’invogli.
Poco resta alla fiamma (A Romilda)
altrui la chieggo invano. (Sta alquanto pensosa)
Più all’ardor non resisto
e meno a gelosia. (Alzando gli occhi s’incontra in quelli di Ottaro che mai non la lasciava di vista e, appressandosele velocemente, le getta di mano la facella)
e tanto ella è più grande,

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