quei che d’Aulide al porto
Già ’l Tessalo è sconfitto,
Ah, Teucro, quel momento,
s’apre il nume a’ mortali.
Sol questo è il tuo periglio,
Quello in cui dir mi lice
Ma quello in cui m’è tolto
Quando? Di chi? Deh! Tosto
Lo so; messaggio infausto
re invitto, illustre sposo
Sai che per vento avverso,
Qui scrivo a Clitennestra (Mostra una lettera ad Arcade)
Prendi, o mio fido, e tosto (Gliela dà)
mette in Aulide, è morta.
il cammino dell’Asia? (Si mette in atto pensoso)
pria che arrivi la figlia.
e tra i viva, onde intorno
rimbomba il ciel, l’un chiama
morrò con voi. Deh! Ulisse,
Ma, se qui del tuo figlio
l’infausto altare. In breve
si occulti il sacrifizio.
sposa, figlia, v’abbraccio.
Deh! Non le prender, figlia,
l’alma appien non tranquilla.
Che manca a tua grandezza?
Tempo hai di darlo al regno.
Altre volte il mio aspetto
Piaccia agli dii che questo
S’altro affanno il molesti,
Beltà, se pur n’ho in volto,
n’avea tratte il suo cenno.
va’, conta fra’ tuoi fasti
e fra i pianti e fra i ceppi
Fin da quel tempo, iniqui,
frena il tumulto. In breve
Fu Ifigenia?... Fu Achille?...
Che partì? Che rimase?...
e te, qual serva abbietta,
che ancor non ben intendo.
Ei, pria che cada il giorno,
v’applaudo e ne son lieto.
No. Questa volta io chiedo
all’uom, perché di forza,
il saper che quel laccio,
le bende, l’ara... Ah! Quando
Arcade, o dio! su, parla.
le tue ginocchia abbracci. (S’inginocchia)
Signor, questa è tua sposa.
qui col tuo sposo. Io corro
Fermati, o dio! se m’ami.
Quel crudel, quell’iniquo,
qualunque ei sia, m’è padre.
perché t’uccide il padre?
Signor, senza il tuo amore,
Signor, veggo il tuo sdegno.
Troppo importa alla Grecia
Fuor di questa, ch’io premo,
non mi si sveli. Il tutto
(Con che intrepida fronte
che vuol condurti ei stesso
sarà il tuo cenno. Questa,
puoi ripigliarti. Io lieta,
strettami al seno e cinte
«Quando fia mai quel giorno
Fissa in questo mio volto,
Mi vieti anche il dolermi?
e m’è grave il non farlo.
Qual mi pregò? Qual pianse?
ma tosto e fuor del campo,
Dal sacro orror di questa
Quasi all’invitto Achille
Deh, qual periglio corse?
né a te gioverà pianto (A Clitennestra)
né a te innocenza. (Ad Ifigenia)
Tu pur d’Achille in traccia (Ad Arcade)
Non ch’io cotanto ardisca;
non è l’opporsi al cielo.
chi fabbro è di menzogne.
(Io qui mi celo e ascolto). (Si ritira)
Ecco che in me tien fissi
ella attende a’ suoi legni,
ti chiedo; vivi o s’altro
Io perdono al suo sdegno;
Vergine, al sacro ingresso
stanno armati i più forti
Madre, è già tempo... Ah madre!
Non resta altro che pianto
non rinfacciar mia morte;
odi il tuo, più che padre,
Val tanto Elena e Troia? (La posa sopra uno sterpo, appoggiata a un albero)
Ecco in quest’ora, in questo
in notte eterna il giorno.
Già vengo. Già m’appresso.
Già sono all’ara. Al sordo
Ella muor tra gli applausi
coperto il volto. In mano
già stringevano il ferro,
gridò: «Fermate. Il cielo
il suo fato e il suo sangue.
resta ciascun; poi gli occhi
già stende il braccio. «Lunge»
corre all’altare e il sacro
e tra gli applausi e i viva
Vieni ai materni amplessi,
ecco son l’aure e l’onde.
Grande, o Carlo, è tua gloria,
e umile in tua grandezza,
Quindi il tuo nome augusto