grand'esempio e gran pena,
Le tue vittorie, Ernando,
del poter nostro. Hai vinto.
Vieni, onde al sen ti stringa,
o forte del mio regno (Lo abbraccia)
generoso Alessandro. (Si abbracciano)
non dee lasciarmi ingrato.
Vil non fia ciò che puote
tutto il premio, ch'io cerco,
in sé racchiude un volto.
che non fia chi 'l sorpassi
E ch'ei tema, gli aggiugni,
che un mio servo, un Ernando
l'illustre principessa...
stranieri in quella corte...
Misera principessa! (Si ritirano in disparte)
vi affissate, o miei lumi.
l'alto onor d'inchinarti.
scambievol fiamma; io seco
(Fisso mi osserva). Ommai
si strinse il sacro nodo,
si diede il casto amplesso.
fa ch'io 'l sappia, onde fine
(A lagrimar mi astringe).
Dimmi, che sperar deggio?
e seco è 'l duce, il solo
A l'ombra de' tuoi lauri.
Ma quale è il tuo consiglio?
Temi il mal, non il bene.
l'amor, la fede, Ernando.
Da lei che adori or prendi
non è offesa al tuo grado,
ti trasporta il tuo sdegno.
grave offesa è al tuo grado.
Questo è 'l tuo sol comando,
Questo è 'l tuo sol disio,
Il tuo amor, la tua fede,
L'alta gloria, o monarca,
Se ti offendon gli applausi,
Gran re, quel che poc'anzi
più de l'Istro e del Tebro,
principe, i passi. A quanto
Questo che al re presento
Prendi e rimira. (Gli dà la lettera)
«Per quanto ha di più sacro, (Legge)
signor. Mentito è 'l grado,
tuo egual che meco trassi
per mia bocca or t'invita
Se in più beltà ti adoro,
con me ti sdegni a torto,
godrà l'amico. Io 'l nodo
son reo. Lascia che almeno
Sia l'ubbidirti, o bella,
Parli il labbro e 'l confessi;
per più offender l'amico?
Per più macchiar?... Ma dove,
Voglio esser reo, né posso.
S'è ver che t'ami Ernando,
Fuor del mio sposo, ogni altra
Felice incontro. Arresta,
Egli è 'l prence e l'erede
già sposa ad altri amplessi.
sciolto cadesse e infranto
Ma in lui la grave offesa
Disprezzo il fa costante;
giunser mai con gl'incensi
raggi propizi; e in questa
O tu, che ancor non veggio (Casimiro sta confuso)
t'è di Lucinda e 'l nome?
Fede non le giurasti? (Casimiro non la guarda)
Dunque a l'armi, spergiuro. (Dà di mano spada)
campion che a darmi morte
Su, strigni il ferro; e temi
Sei vinto; ed è 'l tuo torto
Che sento? Ella è Lucinda? (Il re si leva dal suo posto e si affretta a scender nello steccato)
pien di scorno e di duolo
La notte avanza; e 'l prence
non viene ancora. Ei solo
E pur cresce nel seno (Si asside al tavolino)
Che acciaro è quel? Che sangue
ne stilla ancor? Qual colpo
Che orror, che turbamento
Andai... venni... l'amore...
lo sdegno... Una ne l'altra
Gran timido è un gran reo.
Ma nol dicesti, o figlio,
Io morto! Ho vita, ho spirto
Signor, che il tuo potere (A’ piedi di Venceslao)
che 'l tuo dolor mi chiede.
Senza offenderti, o sire,
Del pari ambo i tuoi figli
per me avvampar. Ma 'l foco
sparso era il ciel, quand'egli
Come? Morto Alessandro? (Piange)
la mia, non la tua causa.
Quell'orror, quel pallore, (Additando Casimiro che sta confuso)
quegli occhi a terra fissi,
quel ferro ancor fumante (Casimiro si lascia cader lo stile di mano)
esser lo può di un padre.
Parla: le tue discolpe (A Casimiro)
Sì, la spada. (Sul tavolino depone la spada)
Eccola, o re. Già 'l core
il suo periglio è certo).
(Lungi, o teneri affetti).
al giudizio e a le leggi.
mio suddito e mio figlio.
O dal figlio e dal padre, (Piange)
De la real promessa (Tra sé)
Regina, il pianto affrena.
Ma se 'l prence al mio amore
Tinto poi di quell'ostro,
anch'io voglio, anch'io giuro. (Si accosta all’urna e snuda la spada)
Ben ne ho dolor; ma indegno
ed or, bella, a' tuoi piedi
tuo pianto io son contenta.
Ubbidisco, o regina. (Parte)
Figlio, in onta a tue colpe
Tutt'altro oggi attendevi,
m'è 'l dono tuo. Lo accetto
Crudel, se' sposo ancora.
Anzi questo è 'l sol nome
che più mi è caro, io meco
Va' pur; ti è cara, il veggio,
Sì, vivi. Il dono è questo
svellersi sento. Prence...
si avvilisce il tuo sdegno!
Pera anche il re; ma 'l colpo
che tu 'l comandi o 'l vibri!
tutta incendio e tutt'armi
Io dar perdono? Ernando...
Prostrato al regio piede,
Per me non vegga il regno
passan le colpe in legge;
L'avrai, quando anche fosse
rompi ogn'indugio ed arma
tu non cerchi al periglio,
Sono infranti i suoi ceppi,
tu non vi accorri, invano
Erenice, Lucinda, (Da sé passeggiando)
Sieguami ognuno. Il mondo
Che sarà? O del mio sposo
ch'io chieder posso. Ah prima
v'è chi si opponga, questo,
del mio, del vostro eccesso
volontario a' tuoi ceppi,
piego umil le ginocchia. (Casimiro ascende due o tre gradini del trono e s’inginocchia dinanzi al padre)
(Cor, non anche t'intendo).
Gioie, non mi opprimete. (Preso per mano Casimiro discende con esso lui dal trono)