sì grande aquisto. Appena
che il ben usarli. Hai vinto
l’afro e l’ibero; or vinci
cor che a difender basta,
Marzio, costei che ha tutta
Marzio, a te qui l’affido,
il cor più che il sembiante;
voti di ossequio e saggio
Nacquer da voi, begli occhi,
perdo il dì. Manca il senso,
lasso anch’io da la pugna
non tardo accorro e a morte
Principessa, a’ tuoi lumi
Son Scipio e benché cinto
Bacciar quel piè, che preme
nome è Tersandro; e ’l primo
Quindi in usbergo e scudo
Gran virtude ha Scipione,
Già fra’ miei voti incerto
orror ne ha ’l sangue e teme
Intendo, Elvira, intendo.
Spiace in Marzio l’amante,
con offrirti il mio nodo,
Troppo ti abusi, ingrata,
dal peggior mal? Su vieni
Ah! La sua morte a’ ceppi
Or che più tardi? Accresce
m’insegni ad esser forte.
Ecco il sen. N’esca l’alma,
Signor, le mosse un cieco
Lo veggo e ’l sento. A l’onta
che a lui chiese la morte
Marzio pur sono? Io lauri
cieco è ne l’ira. A Marzio
Ora è giusto, o Cardenio,
Quel che ti pende al fianco,
illustre acciar, tuo dono,
Vieni, Tersandro. Il prence
Chi ha sangue e petto ispano
Godo che sciolto ei vada;
Tersandro, di’, fia questo
(Voce che mi trafigge!) (Verso Scipione)
E tu, Marzio, in Scipione
Addio. (Se qui mi arresto
che il tuo consenso. Lascia
si appressi ad una face...
Scipio ne strinse il nodo.
Sì, di tua scelta è degno.
Gran virtù, se in Tersandro
Non ti aggravi, o Tersandro,
Prence, che mi si chiede?
Fregio ch’è di sua gloria
Né langue in lui la fiamma
tu siegui il calle. Anch’io
Tersandro, ecco in periglio
la mia gloria e ’l mio core.
vanne e fa’ ch’io non provi
Luceio è ’l mio conforto.
Sciagure? E tu le arrechi?
perché almen fra due morti
A’ miei prieghi, al tuo merto
Tersandro, onde quel pianto?
Quello tu sei che a l’onde
Parmi sol nel tuo aspetto
Hai più strali, o fortuna,
So qual sei, qual ti fingi
(Ecco la bella. (Si ferma in disparte)
(Tacciasi e non s’esponga
e nel tuo sangue, uom vile,
Signor, questa è la gloria
Star mio rivale, al fianco
qui ti parli il mio duolo.
Signor, se al tuo gran core
Un ve n’ha che al tuo cenno
non si stende il comando.
Cresce il tumulto. A Marzio
Chiede al sovrano aspetto
Marzio inchinarsi; e chiede,
su la mia fede il giuro. (Parte il soldato)
Me felice, se posso (A Sofonisba)
Tu lascia ch’io ti abbracci
Tu, che ancor tra’ nemici
e quel capo, che un giorno
Tu ’l difendi; e si salvi.
e, fin dove a lui piaccia,
Venga Elvira. Tribuno, (Alle guardie)
da impor leggi al tuo duce?
Principi, in poter vostro
Grave n’è ’l prezzo. Io stesso
ch’ove onor lo richiegga,
sicura il guidi. Il campo,
Luceio il piè mi sciolse;
Eh! Cardenio, altri sensi
da un sospetto sì ingiusto
che minaccia il tuo capo.
che di una morte illustre
Si minacciano assalti. (Luceio sta pensoso)
Se più indugio, ti perdo.
Marzio, e rispondi. Elvira
il mio capo al supplicio.
Godi tu fortunati (A Scipione)
Tu perdona al mio core, (Ad Elvira)
In questa (Prima a Sofonisba poi a Scipione)
Colà ti arresta e quando (A Luceio)
E ispano aggiugni. In grave
Va’; e ti scortino i miei. (A Luceio che si viene avanzando)
in me i colpi, in me l’ire. (Dà di mano alla spada)
O smanie! O furie! O mostri!
(Qual gel m’occupa l’ossa?)
Sì, a quel piè lo gittate
abbia arbitrio e ragione;
(Gare che son mio affanno).
Son pago. (Ancorché ispana,
Pari n’è ’l vanto. Or solo
ne annodi anche le destre.