di questo dì la chiara luce, o padre,
favellarti da padre, ultimi instanti
vassalla e serva, a te d’intorno accolta
s’affollerà. Attenta Eudossa, ascolta.
Attendo i tuoi consigli, anzi li bramo.
Atene è la tua patria; ivi sortisti
col nome di Atenaide illustri fasce
ma non regali. Io ti fui padre.
agl’arcani mi fosti alti recessi,
ove umano pensier rado s’innalza.
esaminai. D’alor previdi il trono
vidi il tuo fato. Assai più chiaro il vidi
nel tuo bel volto e ne la tua grand’alma.
Beltà e virtude in te crescean con gl’anni,
quando del re de’ Persi il figlio erede...
(Varane, il so, fatal memoria).
la regal mente. Egli ad un punto istesso
anch’io (stelle!) l’amai.
che potea farti illustre; e già mirarti
a me parea sul perso trono assisa.
e l’impuro vapor sparger potea
macchie eterne al mio sangue, alla tua fama.
il nome d’Atenaide in quel d’Eudossa.
T’offro a Pulcheria, ella al fratello. A lei
Proposto appena, è stabilito il nodo
che ti fa augusta. Il tuo destin già è fermo,
sposa a Teodosio e imperatrice or sei.
ferma i vertiginosi impeti ciechi
saggia virtù. M’odi e ne l’alma imprimi
Parli, parli Leontino, Eudossa è figlia.
T’ama cesare, è ver. Teco divide
nel giovane monarca i nodi antichi,
se non sciorre, allentar. Tu sempre fida
sino la sua incostanza; e quando ancora
tu lo vegga avvampar d’altra beltade,
non l’irritar con importune accuse.
più molesta divien. La sofferenza
sol fa arrossir l’infedeltà d’un core.
E gelosia mai non racquista amore.
A Teodosio piacer fia di quest’alma
la tua benefattrice e la tua augusta.
pubblici affari. A tuo poter sostieni
la man che più t’insidia. I casi avversi
né superba i felici. Anche dal trono
al nulla, onde sortisti, il guardo abbassa.
sia di Teodosio il vero bene. A lui
la pace, il giusto e la pietà consiglia;
degna del grado tuo renditi, o figlia.
io sarò tuo vassallo; e l’esser padre
non farà ch’io ti nieghi il mio rispetto.
scorderò il mio il dover.
ma ti lascio con pena. Ah! Soffri, o cara,
ne l’estremo congedo il pianto mio;
prendi l’ultimo amplesso. Eudossa, addio.
imagine odiosa. Assai già tolto
m’hai di pace, di gloria e d’innocenza.
questi sia il primo frutto, amar Teodosio,
applaudami la Grecia; e ’l fier Varane
del diadema de’ cesari non sono,
salir moglie e regina anche il suo trono.
Questo è ’l lieto tuo dì. Bisanzio applaude
di Teodosio a l’amor, di Eudossa al merto.
passerà sul tuo crine. Appena basta
al concorso de’ popoli giulivi
la reggia intera; e ad onorar tue nozze
oggi a noi vien, sia caso o sia consiglio,
di Persia il prence e d’Isdegarde il figlio.
i tuoi sponsali spettator più illustre. (Sopragiunge Marziano)
Ah! Principessa. Egli a noi viene,
da l’annunzio funesto un cor fedele.
No no, libero parla. Il perso erede
ne corre il grido. Cesare v’applaude.
Marziano è vassallo. (Il duol m’accora).
Il nodo, che ti toglie al greco impero,
T’ama il german. Di che temer potrai?
Tutto non vedi il mio destin né ’l sai.
Marzian sì pensoso? Il ciel mi chiama
Ne gode ogn’alma. Cesare v’applaude
caler ti dee di un misero vassallo,
a Teodosio dirò, dirò a l’impero,
tua prima cura e tuo maggior pensiero.
ad Isdegarde sarò ingrata? In fronte
che fa servir di Teodosio al sangue
quella parte di mondo, ov’ei non regna?
Parla, o duce, consigliami; ma solo
sia del consiglio tuo norma ed oggetto
pubblico zelo e non privato affetto.
Il tuo cor, non il mio, vorrei che guida
e fosse la ragion del tuo rifiuto.
questa si oppone a’ tuoi. Sol col tuo senno
si rege augusto e sol col tuo l’impero.
Se tu parti, ei vacilla; e se pur brami
sposo al tuo letto, ei non si scelga altronde
che tra i sudditi tuoi. Regna con esso
anche in grado di sposo un tuo vassallo.
Augusta, ne’ miei detti i voti suoi
viver devi e morir, vergine o moglie.
è tutto zel ciò che favella?
lascia penar con innocenza il core
e interpreta per zelo anche l’amore.
non vil mercé. Vattene, o duce. Adopra
l’arte, il poter, perché si rompa il laccio
che mi stringe ad altrui. Tuo ne sia il merto.
toglimi, te ne prego e tel comando.
E se il suo non ti basta, ecco il mio brando.
così t’abusi? Probo, anche i favori
offendono non chiesti; e tal son io
colpa divien, quand’è soverchio. Attenda
al suo sovran sia più modesto e taccia.
Parlan nostr’opre ed ella
ne vede il prezzo e ne distingue il merto.
parli un suddito labbro. I torti suoi
meno fedel, se meno fosti amante.
dal tuo valor ne attenderò le prove.
vendicherà i miei torti. In te conosco
il nemico e ’l rival; tu sol m’involi
tua né meno ella sia. L’abbia altro amante.
L’abbia Varane. Al mio deluso amore,
servirà di conforto il tuo dolore.
per cui l’inalzo a dominar nei Persi,
cieca resista. Ad imeneo più illustre
e nemico sì forte e sì guerriero
può costar sangue e pianto al greco impero.
(Sorte mi arride). Il tuo timor istesso,
vi oppone il suo voler, l’altrui vi oppone,
con l’altrui cor risolve.
che a le sue nozze insidioso aspira.
già m’arde una giust’ira; e stringo in mano
Egli è... (Pera il rivale).
E Marzian sarà punito. Un duro
vegga Pulcheria al principe di Persia.
col militar comando, anche l’affetto.
Cauto oprerò. Simulerò l’offesa.
Parrà favore anche la pena; e un braccio,
non perderò né irriterò. Tu intanto
nella sua corte, ove l’onor sostenni
offri quanto dar può cesare e ’l trono,
che amico a lui, grato a Isdegarde io sono.
l’alma mi brilla in petto. Amata Eudossa,
l’impero del tuo cor che quel del mondo.
Principe illustre, a sua gran sorte ascrive
l’alte sue nozze ad onorar tu venga.
fortunati presaggi a quel destino
E qual altro destino a noi ti dona
del tuo col nostro impero? (Egli si tenti).
Ah! Probo, a voi non amistà, non altra
politica ragion qui mi fu guida;
vive tra voi. Tal me ne giunse il grido.
Senza colei, per cui vo errando intorno,
m’è odioso il respiro, infausto il giorno.
ti precorre la luce. Il so, gran freggio
di questa reggia è la beltà che adori.
(Per pena del rival perdo me stesso).
(Che miro, o dei! Quegli è Varane).
successor de la Persia...
Dimmi Varane, amico, figlio o s’altri
nomi di amor può sugerirti il labbro.
qui grave affar seco mi chiede alquanto.
che il mio piacer ne la sua reggia io spero;
e fa’ ch’egli vi dia l’augusto assenso.
(Piangi, amor mio, ma il mio rival non rida). (Parte)
Atenaide sol è dov’è Leontino;
ma più non la vedrai, credilo a un padre.
Chi negarla al mio amor? Chi tanto puote?
Non ti lusingo, o prence.
Fuggila per tuo onor, per suo la fuggi.
Il suo fato, il mio amor vuol ch’io la cerchi.
L’amor tuo si avvilisce; ei cerchi oggetti
Tutto il mio fasto è l’adorarla. Ah! Cessa
di più temer. Vengo a recarle un core
eguale a sua virtù. Con minor prezzo
non l’error mio, torto ed error che tanto
a me costò di pentimento e pianto.
Di augusta gl’imenei l’applauso avranno
Ma non quel del mio cor. Voglio Atenaide.
tutto è oggetto d’orror, se lei non veggio,
Deh! Non soffrir ch’io te ne prieghi indarno.
la mia grandezza a l’umiltà del priego.
al paterno voler più non soggiace.
Decretato è di lei; soffrilo in pace. (In atto di partire)
soffrir non può d’aver pregato indarno.
Chiesi Atenaide ed Atenaide io voglio,
torla con nuova fuga agl’occhi miei,
parte non fia sì solitaria e strana
dove non giunga il mio furor. Cercarti
oltre ogni lido, oltre il confin del mondo.
Ne la reggia di cesare Leontino
non sa temer. Torno a ridirlo; invano
a me chiedi Atenaide. Il suo destino
più da me non dipende; e se ancor fede
vanne a Pulcheria e sol la chiedi a lei.
A cesare si vada; ei mi conceda
sia felice il suo amor, sia lieto il mio.
Principe amico, ogni momento è pena
che a noi tarda il piacer de l’abbracciarti.
Pulcheria ed io tutto dobbiam al figlio
e Bisanzio vedrà con lieto ciglio
di cento eroi te invitto erede e figlio.
ben fu presago il cor che solo in questo
Questo misero cor lunghi sostenne
fieri naufragi; ei qui ne spera il porto;
ad un talamo solo arder due tede.
principe, il ciel; la real fede impegno.
piena felicità solo il tuo voto.
Pende da te de la beltà, che adoro,
Può sperar tutto il grande
prima il tuo nodo. Io qui t’indugio un bene
che fa troppo penar con la dimora.
A tuo piacer quella è tua reggia, prendi
ivi riposo, ivi le leggi imponi.
Regna Varane ov’è Teodosio. Probo
pieno insieme di gioia e di rossore.
(Dal suo contento è quasi oppresso il core).
Sei vicina, o germana, a porti in fronte
eccheggiano in applauso e mari e lidi.
e si applaude sovvente a un’ombra vana.
Tutto arride al tuo nodo.
Vi manca di Pulcheria il voto.
Vuoi forse rifiutar sposo sì illustre?
Richiesta ancor non sono.
Maturar ben si deve il grand’assenso,
dove inutile e tardo è ’l pentimento.
fin sovra il cor l’autorità del grado.
Può comandar ciò ch’a l’impero ei crede
Perdonami, signor, giova a l’impero
che talor tu consigli i dubbi affari
mal sa in pace trattar nozze ed accordi.
L’alma guerriera volontieri assente
a consigliar ciò che cagion feconda
esser può di sospetti e di litigi;
sete di guerra e di trofei, va’, espugna
ti vegga il campo e a nuove palme il guida.
Cesare a te le sue vendette affida.
Ubbidirò. Da l’armi tue sconfitta
il solo non sarà de’ miei perigli
e ’l primo non sarà de’ tuoi trionfi.
al popolo fellon. Correr di sangue
farò, s’ei sia protervo, e strade e fiumi.
Andrò. Vedrò. Ubbidirò il tuo cenno.
Sodisfatto vedrò l’altrui livore.
tu de l’audacia, io de l’invidia altrui.
non è irritar braccio sì prode. A lui
ma ne la reggia a me fa guerra il duce,
più d’ogn’altra spietata.
Del mio favor si abusa e del suo grado.
Marzian vada al campo e tosto vada.
Dunque sua pena è ’l tuo comando?
del comando il rispetto e non l’arcano.
Purtroppo il so. La tua sciagura, o duce,
Pietà ne sento. Ahimè! Guardati, o core.
Sembianze di pietà prende anche amore.
più sollecito il passo a noi rivolga.
d’innamorato seno impeti e voti,
Ah! Provo anch’io qual pena
sia la speme e l’induggio in chi ben ama.
qui compirsi vedrai; vedrai la degna
cagion de l’ardor mio; vedrai del volto
l’onesto portamento; e alor dirai
che, se pari al suo bello è ’l mio piacere,
così dirò nel tuo possesso anch’io).
Ecco appunto che viene. (O cara vista!)
principe, è la mia Eudossa; e questi, o sposa, (Ad Eudossa)
(Son io ben desto? I sensi
traveggon forse?) Eudossa, Eudossa è questa? (A Probo)
Scelta a l’augusto trono.
marital letto, imperatrice e sposa.
Ma come?... Ah Probo!... E sarà ver?... Son morto.
Quale stupor? Tanto sorprende i cori (Tra sé)
alza dal suolo, ove li tieni affissi;
non arrossir. Stendi la destra. Ei stesso
seguirà al tempio i nostri passi. Andiamo.
Che? Seguirvi Varane? Questi lumi
saranno il testimon d’un imeneo?...
No... Prima... Ah! Giusti dei! Con quale,
prendeste ad atterar la mia costanza?
Tu impallidisci? E tu pur anche, Eudossa?
Perché? Parla, onde mai? Svela l’arcano.
Sire... (Mi manca il cor).
nascono in me da quel fatale oggetto...
Oh dio! ... Misero core!... È forza, o sire,
la mia stessa ragion divien furore.
ma ’l mio stesso desir fa ’l mio spavento.
Eudossa, il tuo silenzio e ’l vero esponi.
Agl’occhi tuoi noto è Varane?
Ed a quei di Varane è nota Eudossa?
Eudossa è ignota a lui, non Atenaide.
quando per Atenaide a te rispondo.
Spiegati. (Non intendo e mi confondo).
che in Atene io vivea, non era Eudossa.
Tal mi nomai dacché in Bisanzio giunsi.
offertomi dal caso e non dal core.
(Oh dei!) Né spiacque a te la regal fiamma?
ad un amor che ti facea regina?
a la patria mi tolse ed a Varane.
Le sue ragioni ha ’l padre.
il giovane feroce e più ’l suo amore.
mura si elesse un più sicuro asilo.
cangiai. Mi vide augusta; e qui a te piacque...
Basta così, basta, o fatal... Qual dirti,
deggia, non so. Nomi del pari infausti,
nomi spietati. Un mortal giaccio, un freddo
Quando fia tempo, intenderai tua sorte.
La men crudel per me saresti, o morte.
Pulcheria a noi. Probo, tu vanne al tempio,
e si congedi il popolo e ’l Senato.
Gode scherzar su’ nostri casi il fato. (Parte)
Smanie gelose, tormentosi affetti,
Ho in Varane un rival. Mel tacque Eudossa
Farò, iniqua, farò che tu non sia
e che il tuo nome a la futura etade,
quando invidia dovea, svegli pietade.
intesi la cagion de le tue pene.
Chi mai detto l’avria? Colei che adoro
perfino a l’ara; ed a recar venia
la spergiura sua fede in faccia a’ numi.
S’Eudossa è rea, dov’è innocenza in terra?
misero son. Tu mi lodasti Eudossa
Deh! Perché a te credei? Perché lei vidi?
Oh fede! Oh vista! Oh amore! Oh cieli infidi!
il tuo cor ne trionfi e quella ingrata,
sprezzatrice beltà sia disprezzata.
Scenda l’indegna dal tuo soglio.
Per vederla a salir quel di Varane?
Perch’ella passi al mio rival in seno?
Vada colà dove né meno il nome
Corro, o german. Vo’ che per sempre Eudossa
si allontani da te né più ti vegga.
So l’error suo; la sua perfidia ho nota
ma ’l non vederla più mi saria morte.
il superbo rival. Parta...
Sì, la sua vista ira e dolor m’accende.
se gli rechi il mio cenno ed ubbidisca.
Ah Teodosio! Ah fratel, per cieco affetto
dove ten vai? Recar tu oltraggi ed onte
a prencipe sì amico e sì possente?
mancherà ogni conforto, ogni vendetta?
Forse un inganno è ’l tuo sospetto. È cieco
il cor d’Eudossa esaminar conviene.
Ciò che far deggia ha stabilito il core.
Libera son da l’odioso nodo
stringer volea. Qui viene il duce. Affetti,
cauti vegliate a la diffesa.
di quel destin, che misero mi rende
ove resta di me la miglior parte,
con qualche pace; e un gran piacer vien meco.
Quel di veder che il foco,
se la tua ti conservi. Hai qui vassalli
mi sia lecito dirlo, i tuoi begl’occhi.
Se tanto, o duce, un cor vassallo osasse...
V’è chi osa tanto, o principessa. Ei fece
quanto puoté per non amarti. Oppose
ragion, virtù, dover; tutto fu indarno.
Reo lo vuole il tuo bel, reo la sua stella.
Duce, non più. Qualunque ei sia, gl’imponi
o ch’ei corregga il temerario affetto
cauto così che non ne scoppi intorno
m’è l’esser suo; né a te ben tutta io credo
la colpa sua. (Se più l’ascolto, io cedo).
se il tuo sdegno l’uccida o ’l suo dolore.
No, Marzian, saper non amo
né la colpa né ’l reo. Sin che mel taci,
egli forse m’è caro; e degno è forse
e la tua vita e la memoria mia.
Timido labbro, è tua la colpa. «Io t’amo»
Vanne; e pria che partir, dille che l’ami;
ella dolce risponda: «E t’amo anch’io».
Anzi di risparmiarti un gran sospetto.
Or più crudele egli mi rode in seno.
Non val consiglio ove dispone il fato.
Del vostro fallo è mia la pena.
innocente la figlia e sei felice.
Più avveduto mi rende il primo inganno.
Venga; e quest’alma il testimonio sia.
Ma sdegno non ti turbi o gelosia.
Nel mio furor nulla conosco o temo.
Eudossa è l’amor mio. Se in lei tu pensi
vegliano al fianco tuo l’arme vassalle,
vittima non mi avrai facile e sola.
saprò la vita; e l’oppressore istesso
da le ruine mie resterà oppresso.
mi fan pietà più che spavento; e s’io
gl’impeti primi, apprenderia Varane
come si parli a cesare in Bisanzio.
Di’, qual oltraggio hai dal mio amor? Corono
Sposa non la volesti; io la fo augusta.
che a te tolse alterezza e frenesia?
quel superbo pensier. Seguo il tuo esempio.
del tuo impero, del mio, di quel del mondo.
far per te non sapria. Vorrei... Ma, sire,
quel che spero non so né quel che parlo.
Pesi il tuo cor sé stesso; e vegga quanto
possa aver di virtù, possa esser grande.
Ecco vinto il mio fasto, ecco abbattuta
Ah! Basti a l’odio tuo vederti avante
il figlio d’Isdegarde supplicante.
più che i trasporti tuoi. Senti; amo Eudossa;
ma l’amo con virtù. Vo’ che l’amore
mi acquisti la sua fede e non la forza.
Sì, vo’ da la sua bocca udir il nostro
oracolo fatal. Se l’hai propizio,
né un cor t’invidierò che tuo esser volle.
Ma se per me decide, i nostri amori
più non turbar. Lascia che meco in trono
regni la tua Atenaide e non geloso
mira la sua grandezza e ’l mio riposo.
io riponea tutto il mio ben. Ma poco
decida in libertà. Scelga tra noi
il più caro amator, non il più degno.
No no, seco ti lascio. A lui sincero
il voler ne sarà, giuro per questo,
che il crin mi cinge imperial diadema,
la recherai che da l’amor d’Eudossa
vita e felicità possa costarmi,
udir la tua sentenza e non lagnarmi.
Il misero Varane, o tanto indarno
avrà pur il piacer di favellarti.
Parli egli pur. Così comanda augusto.
egl’arde a’ danni miei d’odio funesto.
Deggio ubbidir; quanto far posso è questo.
E per me nulla puoi? Non anche sazia
A un sol error tanto supplicio? Oh dei!
Qual mar, qual lido non tentai? Fin dove
volar non feci d’Atenaide il nome?
negasse i suoi. S’è impietosito il cielo
mi ti togliea per sempre. A tempo ancora
posso offrirti pentito e nozze e trono.
Atenaide, mio ben, pietà, perdono.
vieni a turbare la mia quiete? I mali,
nel mio cielo natio per te sofferti,
A quei riffletto, a quelli
a quei ch’ora mi fanno augusta e sposa.
il diadema de’ cesari è un gran fregio;
sarai serva a Pulcheria. In Persia io ’l primo
saranno i tuoi begl’occhi e leggi e dei.
che in più liberi sensi il cor ti mostri.
Tutte le offerte tue, le tue lusinghe
e del tuo amor mi stimaresti indegna,
se tua potesse farmi un tradimento.
volea farti il mio cor. Forse non senza
Forse ad esser d’altrui l’alma disposi
Di cesare ora son. Data è la fede,
se non la destra. Esser di lui sol voglio.
nuovi imperi aggiungessi e nuovi mondi
di rio destino, andar dovesse augusto
infelice, ramingo, fuggitivo,
non cangerei desio, non cor, non fede;
con lui misera errar, con lui meschina,
ch’esser lieta con te, con te regina.
dura sentenza il mio sangue soscriva.
prence, da te. Soffri il tuo fato. Vivi
a più degna beltà. Vivi a Pulcheria.
favor dimando, ama Pulcheria e vivi.
non sia il rival. Lascia ch’io volga altrove
ma non solo, non vil né invendicato.
Temo e compiango il suo dolor.
Ei così dee soffrir. Probo, tu intanto
al mio signore e tuo la certa prova
di quella fé, con cui l’amo e l’onoro.
sento d’amico prence il fier martoro).
Vinta è già la procella. Eccomi in porto;
né del primo terror mi resta in seno
dagli occhi tuoi ne’ due monarchi accesa,
a scoppiar è vicina in guerra atroce.
Cesare io scelsi; e al suo giudicio deve
Non lo sperar. Fede, che torni in danno,
non serbano i potenti e men gl’amanti.
Se resti, avrai di che lagnarti. Andiamo.
Perdonami, signor. Sposa d’augusto
sarò fra poco. Egli m’adora...
di debol tempra. Ove le torni in grado,
Più giova al greco impero il perso amico
la prima fuga e pur l’impose onore.
Or l’impone il timor né mancar posso
Incauta figlia, ancor ti pentirai. (Parte)
Tradire il mio signor? Con quale speme?
Pulcheria, o dio! fia di Varane. O cieli!
Con qual furor mi si risveglia in seno
Lungi è ’l rival. Con un inganno istesso
servo a me, servo a lei, servo all’amico.
Ma Teodosio è ’l mio re... Che fo?... Che dico?
Ove mi tragga il passo, ove il pensiero,
crudele amico, anco il tuo aspetto accresce
le pene mie. Su, più le irrita. Esponi,
con qual cor, con qual fronte il mio rivale
ricevé il lieto avviso e ’l fatal dono?
quale insultò? Nulla tacer. Non cerco
che oggetti d’ira, di dolor, di morte.
meno misero sei di quel che pensi.
né concepirli né sentirli io posso.
l’infausta pietra, onde segnar le stelle
l’ultimo de’ miei giorni.
Eccone il testimon, Probo tel reca.
Come? Atenaide? E sarà vero?
che vinta da pietà, spinta da amore:
«Vanne su l’orme sue. Digli che paga
Probo, non più, l’estremo
piacer m’opprime e in rendermi la vita
No, Pulcheria. Ecco Probo, ecco Varane,
Mel disse il cor. Certa è la mia sventura.
Signor, quanto più lieto a te verrei,
Ma tolga il ciel ch’io di mia sorte abusi
Se non era il tuo cor sì generoso,
ora il mio non saria sì fortunato.
la tua sorte e la mia, da me prescritte
istesse leggi io servirò d’esempio.
(Egli è tradito. O perfida Atenaide!)
Probo, adunque egli è ver? Mi rende Eudossa
questa mercé? Paga così l’ingrata
le mie beneficenze e la mia fede?
la pietà ch’hai di me. Veggo il tuo zelo;
udir voglio da te, da te che fosti
testimon di quell’anima spergiura,
tutto il suo error, tutta la mia sciagura.
Signor, che dir poss’io? Quell’aurea gemma
sfavilla in mano al prencipe de’ Persi
più di quel che potrei, parla al tuo core.
O gemma! O vista! O infedeltà! O dolore!
Sugli occhi del rival frena il tuo pianto.
la tua virtù l’ultime prove.
ti basti esser felice; a te non chieggo
Del mio fato crudel l’ultimo vanto
questo saria, l’esser da te compianto.
rechi per l’infedel? Che puoi tu dirmi?
Ch’ella indegna è di te, ch’io son delusa,
E ’l più misero aggiungi e ’l più dolente.
Ma Teodosio non son, non sono augusto,
se pentir non ti fo di tua incostanza,
più tollerarla; ella ne parta; e tosto
Ella a noi volge il passo.
è un tormentare, è un avvilir sé stesso.
E la costanza tua n’è più commossa.
(Quanto mi costa il non veder più Eudossa). (Parte con Probo)
Chi non diria ch’ella è innocente?
scelsi qual più dovea. Mai sì tranquilla
non mi sentii. Tutti del primo affetto
e del mio ben contenta e del mio fato,
appena mi sovvien d’aver già amato.
(Odi l’alma proterva, odi qual parla?)
Qual silenzio? Qual torbido? Eh, più lieta
(Più non resisto). Io che v’applauda? Io parte
avrò ne la tua colpa? Ed osi ancora
Farne pompa al mio sdegno?
sembra l’ingratitudine, a l’infido
di quel che pensi; da quest’ora, indegna
del mio favor, de la memoria mia.
e per te feci e per te far volea.
né rimirarti più né più ascoltarti.
t’infingi ancor? Perfida, taci e parti.
Meco augusta così? Così Pulcheria?
Quella, che già m’amò sposa a Teodosio,
Intendo. Or che Varane è un mio rifiuto,
ella ne teme il nodo; e al suo piacere
e l’amor di Teodosio e ’l mio dovere.
nel tuo volto a cercar venia l’intero
che, se lo sdegno mio, se la mia pena
può farti e più tranquilla e più felice,
hai ragion di mirarli e di goderne.
che ne avrai fatto pompa agli occhi tuoi,
tutto beneficenza, e ne arrossisci,
poc’anzi tutt’amore, e ne paventa.
(Innocente Atenaide, in che peccasti?)
Ma non pensar che sul mio cor ti resti
altra ragion che d’odio e di vendetta.
reggia, da quest’impero io ti do bando;
che tu mi lasci. Ove trovar tu speri
e grandezze e diletti, amori e fasti,
ti seguano sventure, affanni e pianti;
né a te sovvenga mai che per rimorso
né a me sovvenga mai quello di Eudossa
ad infettar co’ tuoi sospiri altr’aure,
femmina menzognera, ingannatrice.
Vattene; e qual mi fai, vivi infelice.
per bocca mia, tu sei tradito; ascolta.
Qual demone, qual furia oggi a’ miei danni
Io ti do bando? E ti do bando eterno?
Sì sì, vuol la mia morte e cielo e inferno.
che più avessi creduto al tuo consiglio,
che men creduto avessi alla mia speme.
quest’empio ciel, queste fatali arene.
già s’apre l’uscio. E qual riposo io spero,
Eccolo a’ piedi tuoi, s’egli è tua pena.
Che miro? Ah! Che vicino or sei mia colpa.
Senza darti un addio, senza ottenerlo
sì, conviene ch’io ’l dica, un troppo amore.
ne avrà Teodosio? Io qual vergogna ed onta?
Parto, o mia augusta; almeno dimmi addio.
dirlo e non sospirar. Crudel sospiro,
più di quel ch’io volea fors’ei ti disse.
esser io deggio un rapitor indegno?
Chi si ritoglie il suo nulla rapisce.
a violarle egli è Teodosio. In onta
de’ patti e giuramenti, ei tiene a forza
colà chiusa Atenaide, ora tua sposa.
prenditi i miei; sono anch’io teco.
le occulte vie, donde entrar puossi in quelle
varco ben custodisci e qui m’attendi.
dovrò, amico, al tuo braccio, al tuo consiglio.
(Una colpa imperfetta è ’l mio periglio). (Parte)
Fausto abbia il fin la ben ardita impresa.
sarò tuo, sarai mia, cara Atenaide.
(Non vo’ che alcun qui mi sorprenda).
Festeggiatemi intorno, o lieti amori.
(Ma schernir saprò altrove i traditori). (Parte)
trarsi convien. State voi pronti al cenno.
e se al consiglio mio davi più fede,
e del rival si lagna e ’l chiama ingiusto).
il rimedio, anche tardo, è pur rimedio.
senza un sospir, dirvi non posso addio.
Taciti andiam su l’orme sue; mia cara,
ma ti siegua il tuo sposo e ti consoli. (Parte)
corsi e cercai. Qui né pur trovo il prence.
Che mai sarà? Così de l’opra il frutto
il mio signor tradito. O tema! O speme!
poté fuggir? (A Pulcheria)
da una sua serva a me fedel, l’intesi.
Su le mie luci? Olà, custodi, Probo,
Dov’è Varane? O dio! Pulcheria! Io moro.
Per l’infedel ti affliggi?
a la fugga d’Eudossa e di Leontino
Ah! Teodosio, ah! Signor...
Qual vuoi son io; ma l’innocente figlia
a te si salvi, a me si salvi. Armato
Anima vil, tutto è tua trama. In mano
ma non pensar ch’invendicata sia
la sua fuga, il tuo error, l’offesa mia.
tutta in me cada a tuo piacer la pena.
No no, Pulcheria. Io stesso
Seguitemi, o fedeli. Andiamo.
il tuo grado nol chiede, il tuo decoro.
Resta. Io vi andrò. Qui rivedrai fra poco
libera Eudossa e prigionier Varane.
Sì, caro, sì, fedel, vattene e rendi
Vado. Non hai di che temer tu possa.
a me la vita ed a Varane Eudossa). (Parte)
Si confonde il pensier. Sposo ad Eudossa (A Teodosio)
Egli ne avea l’amor, ne avea la fede.
A che rapirla? A che fuggirne occulto?
lo spergiuro, la forza? Ah! Ch’io potea
ma non tradir la fede e non l’onore;
e serbava ragion nel mio dolore.
E tu ne fosti a parte. (A Leontino)
Il vostro cor si disinganni; e in lei
Sì, mia figlia è innocente.
chiudea non casta fiamma? E che, ripiena
passava al letto augusto? Ella innocente?
tradirmi? Abbandonarmi? A chi poc’anzi
amò il suo disonor, l’infamia sua,
e regnar sul mio trono? Ella innocente?
Tregua, signor, tregua, Pulcheria, a l’ire.
Posto quel core in libertà di scelta,
per te, per te decise. Ella non vide,
che un oggetto d’orror. Per qual destino
Bando le desti. Ella conobbe il torto.
Se ne dolse; ubbidì; la notte attese;
rapilla il prence. Ad implorarne aita
la pena più terribile e funesta.
Ma l’aurea gemma è di Varane. A lui
siam più infelici. Probo è traditore
a Pulcheria, ad Eudossa, al suo signore.
Traditor Probo? Ed io poc’anzi a lui
con Varane secrete intelligenze
né per altro il seguì che per tradirti.
Sia traditore o no, convien seguirlo.
fuga al riposo. E popoli e soldati,
Seguami ancor Leontino. Oggi conviene
morir da forti o racquistar Eudossa
perder la vita o vendicar l’offesa.
Oh! Marzian qui fosse. Oh! Del tuo zelo
Quanto augusto per te, quanto Pulcheria
per te saria contenta; e la tua fede
qual merto ne otterebbe e qual mercede.
Duci, soldati, popoli, tradito
da Varane e da Probo. Al vostro braccio
chiedo la loro pena al vostro zelo.
Andiamo amici, avrem propizio il cielo.
serba a maggiori e più lodate imprese.
al sovrano divieto, io mi presento.
contro il bulgaro iniquo avrei rivolto;
perfido cor la fellonia malvaggia.
esempio di perfidia, anima infame,
Perché? Perché così ne la più cara
il più misero farmi, il più dolente?
Son reo, son empio, traditor, iniquo,
Ingannato è Varane e tratto ad arte
ne la perfidia mia. Più dir non posso
E tal l’avrai. (Parte Probo accompagnato da’ soldati)
Marzian, Leontino, amico, padre,
la mia Eudossa trovar, quando perduta
e perdutala forse, oh dio! per sempre?
Vittima di Varane, ogni momento
più da me l’allontana. E che s’indugia?
Colà si accorra. Andiamo, amici, andiamo.
O la mia Eudossa o la mia morte io bramo.
Il mio dolor nel suo dolor si perde.
Eh fermati; ogni traccia è tarda o vana.
ti liberò dal violente amore?
de’ benefici suoi tacque il più grande?
Oprai ciò che dovea. Fuor di Bisanzio
in Varane m’incontro; odo le strida
cinto da’ suoi seguaci. Ardito e forte,
Probo; e fellone a lui soccorre. In questa
Probo riman. Racquisto Eudossa. Al prence
perché in lui si rispetta il regal padre.
Torno a te vincitor; ti rendo Eudossa.
E con Eudossa a me rendesti il core.
il perdono otterrà d’un’ira ingiusta?
Sovrana mia, benefattrice augusta.
A Marzian, per cui cotanto bene
contenta di sé stessa, altra mercede.
Parla così l’eroe ma non l’amante.
Or li basti così. Verrà anche un giorno
di poterti adorar senza speranza.
né più si differisca il nostro bene.
pubbliche gioie a coronar sen viene.
quel forte amor, che mi consuma ed arde,
tutto tentar potea, fuor che rapirla
e rapirla già tua. M’ingannò Probo,
e col dirmi che, a forza e contro i patti,
la ritenevi in tuo poter. La sorte
non mi tolga il tuo cor la tua amistade.
Vagliami questa a risarcire in parte
Tutto si obblii. Vuoi l’amistà d’augusto?
Al figlio d’Isdegarde ella si dia.
Canti così la fama. Altri più degni
e più felici e più sicuri applausi
la gloria imperiale e le sue trombe
empie d’un altro suon, d’un altro nome,
la delizia del mondo a lui vassallo,
nome che di più regni è la speranza,
la più nobile idea de la beltade
e ’l simbolo più ver de la virtude.
Odi, augusta regnante, il fausto grido
del mondo ossequioso; e vedrai come,
fatto immortal, corra di Elisa il nome.
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