Metrica: interrogazione
115 ottonari in Pirro Venezia, Rossetti, 1704 
   Care luci del mio bene,
già mi par di rimirarvi,
   già prevengo con la spene
il piacer del vagheggiarvi.
  Ira vuol d’inique stelle
ch’io sia ingrato o traditor.
   Reo già sono e sventurato;
ma la colpa è del mio fato;
e la pena è del mio cor.
   Salvar puoi l’erede al trono
col non tormi il caro bene.
   Questa vita è sol tuo dono.
O la svena in questo petto
o la serba in quel d’Ismene.
   Fier destin di chi ben ama
dir: «Mia vita, io per te moro».
   Pur si taccia il chiuso affetto,
quando il dirlo a chi nol cura
saria colpa e non ristoro.
   Se’ convinto e già cadé
il tuo stral contro di te.
   Al mio re parlai da figlio;
ma diè leggi al tuo consiglio
il tuo amor, non la tua fé.
   Un amico ed un’amante
   Ma trovai per mia sciagura
ne l’amante una spergiura,
   Quando viene il dolce bene,
con le aurette amene e grate
  Caso in altri è una sventura
sol per me fatta è natura
   Col disprezzo de la morte
   Fin ne l’ultimo momento
   Ancor parla nel mio core
   Ma quel torlo a le ritorte,
perché senta peggior morte,
   Troverò qualche diletto,
   Va’, infedel; ma ovunque andrai,
per tua pena a fianco avrai
la tua colpa e ’l mio furor.
   Terra, ciel, chi mi riceve?
Sono in odio anche a me stesso.
Parto, fuggo... O dio! Ma dove?
Dove mai ch’io non incontri,
   Dillo tu se ti oltraggiai;
   Se pur forse io non errai
   Lo farà cader trafitto
più l’orribil suo delitto
che ’l mio brando punitor.
   Pur la morte, a me gradita,
empio labbro, uscì da te.
   Come pena è da te uscita;
   Se son grande, illustre sono;
dal poter vien la mia fama.
   Leggi impone il re dal trono,
   Usignuoli, che spiegate
al più afflitto degli amanti
   Ma se Ismene, o dio! mi crede
   In amar non uso frode.
          fedele a la beltà.
                             E vera fede...
Gloria ottien, se non mercede.
Gloria ottiene e ottien mercede.
L’incostanza è ognor gran colpa.
E l’inganno è più viltà.
   Sarò fido, invitto re,
per due leggi a te vassallo.
   Daran norma a la mia fé
il tuo grado e ’l tuo perdono,
la mia nascita e ’l mio fallo.
   Venir teco? Ahi! Qual consiglio?
Se non m’ami, se’ mia pena;
e se m’ami, mio periglio.
   Tu ravvivi in questo petto
più diletto e non più amor.
nel disprezzo e nel rigor.
   Dal rossor de la mia colpa
   Un amor, ch’è sempre in gioia,
Qualche torto il fa piacer.
   Vieni, o pace, e l’auree chiome
cinta vien di verde uliva;
bella diva, il tuo gran nome.
   Vieni, amore, e ’l tuo diletto
L’aura il senta, il suolo e l’onda;
ma più ’l senta questo petto.

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