Metrica: interrogazione
126 ottonari in Aminta Firenze, Vangelisti, 1703 
   Nel mio Silvio il core amante
spera e trova il suo gran bene.
   E di Celia il bel sembiante
fa l’onor delle mie pene.
   Fido amico a te sacrai
le mie gioie, i miei tormenti.
tutti trovo i miei contenti.
   S’innamoran tutte quante,
   Hanno il muso innamidato,
pien di mosche e pien di nei,
e pur hanno un branco allato
né lor basta un solo amante
che talor n’han più di sette.
   a voi giro afflitto i passi
chi il mio figlio mi svenò.
   In piagar quell’innocente,
   Per lo più son certi sposi
gridan sempre contr’amore,
ch’è vergogna e disonore,
   e poi questi scrupolosi
                               Vecchio matto...
                            Ti vo’ dire...
                        Maritaccio...
                        in verità.
   Vengo a voi, luci adorate, (Silvio piange senza guardarla)
   Tortorella in tua favella
   Io, crudel, quando a me viene,
se poi ’l cerco e lo richiamo,
ei non sente o mi s’asconde.
   Così pallido e languente,
bel sembiante, ancor mi piaci.
   Perché mai, perché non spiro
Freddo labro a che nol baci?
   Col piacer della speranza...
       consola il mesto cor.
             la tua
   E in veder             costanza...
8}A             la mia
            bando al rio timor.
   Più non turbi empio sospetto,
mia speranza, il tuo riposo.
   Non desio di vasto impero,
mai potrà cangiar l’affetto
ch’ho per te, volto amoroso.
   Già lo sento al crudo invito
   Già mi scordo i miei tormenti
   Parto, addio, non vedrò più
que’ begli occhi... Ah, dura sorte,
   deggio, o dio, da te partir?
questa, questa è la mia morte.
   Che non fa ne’ nostri cori
   Lusingando i nostri ardori
ancor piace, allor che inganna.
   Sputa foco, ira e rancor;
spegner fiamma sì arrabbiata.
                             Ce la voglio...
Non la voglio, se n’andrà.
                                 Sinch’ho fatto...
                                Si vedrà.
   T’amo sì, son tutta amor;
   Ho piacer che nol comprendi,
perché in te veggio più fede
e in me sento men rossor. (In atto di partire, Celia è arrestata da Dionisio che si avanza)
   La tua fiamma e l’ira mia
   Di supplizio, che sia degno
del tuo fallo e del mio sdegno,
   Stelle ingiuste, un cor voi deste
troppo infido a bel sembiante.
   O men vago un far dovreste
o far l’altro più costante.
ombra errante, i dubbi passi?
   Vengo a voi, con voi mi dolgo,
   Così grande è ’l mio contento
ch’ei mi basta a tor di vita;
   ma lo tempra il pentimento
che ho d’averti un dì tradita.
   Mi è sì caro il tuo dolore
ch’ei mi sforza a più adorarti.
   Sol per lui gode il mio core
   Star lontan dagli occhi tuoi,
di tornar, begli occhi, a voi,

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