Abbiam vinto; amico regno,
n’è tuo frutto e gloria e pace.
Del fellon superbo e fiero
vedi il teschio, in suol straniero
insepolto il busto giace.
Ti consiglio a far ritorno,
Col pensier che mia tu sei,
già contento il cor mi par.
È sì dolce un tal momento
che di morte anche il tormento
vai cercando fede e amore,
fuor che quello del mio core
puoi sperar ogn’altro amor.
Sai che in me sperar tu puoi
che l’amarne un traditor.
Il suo amor piagne sprezzata,
ingannata, anche il suo onor.
Parto amante e parto amico,
che non nuoce amor pudico
Se nol credi e te n’offendi,
la fortezza di quest’alma,
D’ire armato il braccio forte
Duolmi sol che ’l fier rivale
sotto a questo acciar reale
D’aspri nodi amor chi cigne
se gli scuote più li strigne
né più sciolto il cor sen va;
Cara parte di quest’alma, (Se gli accosta)
torna, torna ad abbracciarmi.
A l’armi, a l’armi. (Casimiro dà di mano alla spada e con impeto da sé risospigne Lucinda)
brami piaghe e vuoi svenarmi?
Nel seren di quel sembiante
Già la vittima cadé. (Casimiro in atto di deporre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre alzando gli occhi vede il figliuolo)
Grida il sangue e la ferita
del tuo figlio e del mio sposo;
tempo è ormai di vendicarmi.
Deh assicura il suo riposo
e soltanto i’ resti in vita
quanto basti a consolarmi.
Da te parto e parto afflitto,
ma poi tacqui il dolce nome
che più aggrava il mio delitto
e più accresce il tuo dolor.
Senti, senti questo core,
com’immenso è in lui l’amore,
sommo ancora è ’l tuo piacer.
So ben io che in braccio a morte,
sciolto il figlio da ritorte,
Piega umil de’ venti all’onte
gentil pianta la sua fronte
fra l’aurette ad ischerzar;
nel furor perde la calma;
Ballenar con giusta legge
del mio braccio e di mia spada
si vedran dal trono i lampi.
Perché il figlio viva o cada,
né l’amor né l’ira avampi.
tempo e sorte, amor e fé.