Metrica: interrogazione
90 ottonari in Venceslao Venezia, Buonarrigo, 1723 
   Abbiam vinto, amico regno,
n’è tuo frutto e gloria e pace.
   Del fellon superbo e fiero
vedi il teschio, in suol straniero
insepolto il busto giace. (Ernando scende dalla macchina e si avanza verso del re Venceslao che viene ad incontrarlo)
   Se ti offendo, tacerò;
di qual fiamma avvampi il cor.
   Cercherò ne l’ubbidirti
e ’l conforto al mio dolor.
   Ti consiglio a far ritorno,
   Col piacer che siate miei,
   Da voi parto sì contento
che in lasciarvi più non sento
   Non amarmi. Non pregarmi.
   Il suo amor piange sprezzata,
   Parto amante e parto amico,
   Se nol credi o te ne offendi,
   Con sembianze lusinghiere
   Mal si cambia il falso ardore
col patir d’un vero affanno.
   D’ire armato il braccio forte
   Duolmi sol che il fier rivale
   D’aspri nodi amor chi cinge
né più sciolto il cor sen va.
   Cara parte di quest’alma, (Se gli accosta)
                             A l’armi, a l’armi. (Casimiro dà di mano alla spada e con impeto da sé risospigne Lucinda)
   Traditore, più che amore,
   Nel seren di quel sembiante
   E saprà di un incostante
già la vittima cadé. (Casimiro, in atto di deporre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre alzando gli occhi vede il figliuolo)
   Grida il sangue e la ferita
del tuo figlio e del mio sposo.
   deh assicura il suo riposo
   Da te parto e parto afflitto,
   Ma poi tacqui il dolce nome
che più aggrava il mio delitto
   Sarà gloria a la costanza
   Toglie il merito a la fede
   Tu vedrai quanto il mio core
   Può languir l’ira nel petto
  Per trofeo di mia costanza,

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