Claudio, fa’ che nel circo
convien che per noi resti
Cara. Adempiasi, Claudio,
ti scelgo, o prode. Il campo, (Gli dà il bastone in segno del grado conferitogli)
No no, l’empie abbastanza
che un suo sguardo mi onori
io che un sì chiaro giorno
Claudio, già sono in Roma
(Qual sembiante! Qual voce!)
Sai ch’io sono a Sulpizio,
mi fu scelto altro sposo.
Piansi; pregai; mi opposi;
non trovando altro scampo,
Giungo al Tebro; entro in Roma;
qui son raccolte. È padre
Quel giorno, in cui non sono
Resti in Roma. Io ten prego. (Ad Alessandro)
spera grazie e le implora.
sono i voti dell’alma. (Lo porge ad Alessandro)
del mio nome già impresso.
(Che sarà!) Nel lasciarti
Cesare, augusto e figlio,
Non basta. Io dall’insidie
Cadde l’empio e tu regni.
Son io più Giulia? O sono
Madre, errai; non tel nego.
troppo amando un tuo dono.
Pur di error sì innocente
Deh, placa l’ire. Il pianto
Son figlio, sì; ma ancora
Grazie al ciel, la tua destra
né il tuo ingiusto cordoglio.
Perché, perché scrivesti?
Quale addio! Qual silenzio!
Mira attento il mio volto
Quella non son? T’intendo.
T’inganni. Albina il primo,
Ma senti; io qui non venni
di non so qual rea gloria
sarà quel cor già sciolto
Chi non ebbe alma saggia,
Prendi e leggi, infelice, (Le dà il foglio del ripudio)
«Moglie ed augusta (Legge)
Tu usurpar, con qual merto,
che con l’amor del figlio?
Che consigli in tal uopo?
vi sciolgo e vi calpesto.
Questa deggio al mio sangue
Ciò ch’io medito è grande.
Oggi, oggi, sì, l’attesto,
(Sallustia... Oimè, qual vista!)
Il tuo pianto, il tuo duolo
Senza te... Da’ singhiozzi
Io lieto? Io d’altra? E credi
sì fiacco il mio martire?
Vanne, o donna, al tuo esiglio.
Son questi i tuoi custodi.
Parto, mia augusta, parto.
Ella il mio cor... Ma, ingrata,
E questo, e questo è il dono
Ferma, crudel. Son vinta.
Ma se poi tratto il figlio
e con l’ombre ella parta.
Più non sa di esser padre
Se il tuo cor non vi assente,
Va’ pur. So le tue trame.
Ho in man la mia vendetta.
Sappia Giulia... Che penso?
No, con miglior consiglio
Oh, fosse in me il tuo core!
(O dei!) (Tutti levandosi)
da qual core esce il colpo?
Tu che salvi i miei giorni,
Parla, Sallustia, e attendi
mi resti ’l grande arcano;
Non aspettar ch’io scenda,
Che più? Nel mio periglio
chi ti parla e a chi parli.
(Anche il padre a’ miei danni?)
Su, parla; e dall’infamia
Parla; tel chiede un padre.
A prezzo anche del sangue
Claudio, a tempo giungesti.
resta l’altro e più forte.
Eh, con occhio sì avverso
A te, più ch’ora il labbro,
O fa’ ch’io pur ti segua,
cedi a terror più forte).
di un’augusta oltraggiata.
né il più fier de’ suoi mali
Val sì poco il mio trono?
tel chiedo e tosto il porgi.
Ah, non far che a dolermi
Prendilo. O ciel, che fia! (Le dà uno stilo)
Che fai? Queste di Giulia
Premono l’ombre. Claudio,
(Tutto sa; tutto intese).
A questo ferro, a questo (Snuda la spada)
su stringi ’l ferro; o il petto
ch’io volea dal tuo core,
Trovo chiuso ogni scampo.
Fingerò le pupille (Siede sul letto)
Augusta... In cheto sonno
Il padre. Ah, scellerata! (Levandosi con impeto)
Ma pria che l’empio vibri
Io rea col padre? Augusta...
ma con quel tosco ancora...
ed a cesare istesso (Su la porta con la spada in mano)
Augusta, il tempo è questo
che, se all’onor del trono
Venga questa e m’incontri,
che quel di aver sì tardi
colpa è sol questa; e questa
Padre, un acciar. Tel chiede
su via, figlia, ti affretta.
che diè vita al mio sposo.
Ingrata, or via, quel ferro
scaglia ancor nel mio petto.
furor, che qui ti trasse,
la figlia e poi me stessa.
Deh, ferma. In questo seno...
Quella e questa or mi manca,
togliesti a te ogni bene,
Vuoi tu ch’esule io vada?
Prescrivilo; io l’attendo.
Non più, che alfin né il latte
Con questo acciar poc’anzi
la difesa che il rischio;
barbaro ordigno, a terra.
Nella gran reggia accolto
non s’impetra il perdono,
che il sommo è de’ trionfi
del suo fallo il tuo merto;
Giovane e a pro del soglio
che oprasti, onde con tanta
se augusta è salva, il merto
suoi casi udrai. Ti basti
del suo amante il perdono.