Alessandro Severo, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA V
 
 SALLUSTIA e ALBINA
 
 ALBINA
 O dell’alta tua sorte
 ben degna sposa, ecco al tuo piè s’inchina...
 SALLUSTIA
 (Qual sembiante! Qual voce!)
 ALBINA
 La sfortunata, a te ben nota Albina.
 SALLUSTIA
115Albina, amica... E quando in Roma e come
 sotto ammanto viril?
 ALBINA
                                         T’apro il mio core.
 Sai ch’io sono a Sulpizio,
 che proconsolo regge
 la vassalla Sicilia, unica figlia.
120In quell’età, dove sovente amore
 l’incaute giovanette
 prende a’ suoi lacci e di sue fiamme accende,
 vidi Claudio e l’amai.
 SALLUSTIA
                                          Claudio mi è noto.
 ALBINA
 Ei pur mi amò. Fede giurommi. Il padre
125intese i nostri affetti e piacer n’ebbe.
 Un cesareo comando
 tutto turbò. Della Sicilia eletto
 fu proconsolo il padre. A me convenne
 seguirlo e lasciar Claudio, ahi, con qual pena!
130Mutai cielo e fortuna.
 Colà dal genitore
 mi fu scelto altro sposo.
 Piansi; pregai; mi opposi;
 tutto fu invano. All’imeneo funesto
135non trovando altro scampo,
 lo cercai nella fuga.
 Nome e sesso mentii. Mar, piano e monte
 varcai; cotanto ardita amor mi fece.
 Giungo al Tebro; entro in Roma;
140e di Claudio non cerco;
 cerco di augusta al piè, china e prostesa,
 la mia pace, il mio ben, la mia difesa.
 SALLUSTIA
 E qual chiedi l’avrai. Claudio ti è fido?
 ALBINA
 Un anno di costanza
145in uom si può sperar? Scrissi; spedii;
 non badò a messi; non rispose a fogli.
 SALLUSTIA
 Ma se il trovi infedel, tu che far pensi?
 ALBINA
 Racquistarlo o punirlo.
 Deh, finch’io sia contenta o vendicata,
150chiudi in te il mio destin, taci il mio sesso.
 Amor, rischio ed onor così richiede.
 SALLUSTIA
 Giuro un sacro silenzio alla tua fede.
 ALBINA
 
    Non vo’ che un infedele
 si vanti de’ miei pianti
155e scherzi al mio martoro.
 
    D’ira e di ferro armata,
 saprò quell’alma ingrata
 punir, se ben l’adoro.