Mi vuoi morto? Ecco il petto.
mezzo è del padre. Il resto
Di quel non lieve affanno,
(Qual favellar!) In questi
ti tolsi, ahi, troppo ingiusto,
Non più, Fausta, qui in breve
Meno di ardir. (A Flavia) Che pensi? (A Fausta)
Or diasi il premio all’opra.
Signor, l’alta mercede...
fa’ che piaccia a Licinio.
Il mio sesso, il mio grado
io mi sottraggo all’onte.
(Oh ciel!) Non è mia pena
Ah, sii più giusto. Intendo
fu l’amor mio, ch’io stessa
Fausta, mio ben, mia vita...
dalle braccia di un padre.
Odio Flavia, odio il soglio;
Licinio, hai tu coraggio?
Licinio. Abbi in me fede.
prima che iniquo; e posso
L’impero è un suo rifiuto.
Qual legge io fuggir debba,
il mio sangue in me freme.
Salvar non posso il padre,
e un maggiore ne incontro.
L’impeto affrena al duolo.
ne uscì. Di molti a un punto
per te sia gioia. È salvo
Cerca, per quanto mi ami,
cercar più che non pensi.
(Oimè! Non vi è più speme).
del duol ch’ho del suo rischio,
del mio amor, di mia fede,
Solo all’ingiusta accusa,
volga all’Illirio il piede.
prontezza a lei s’ispiri.
Ma tu, cor mio, che pensi? (A Flavia)
T’ama ella molto. Il vedo.
vediam chi pria si stanchi,
Labbro alle frodi avvezzo
Fausta, a cui tutto io debbo,
Leon, trattieni ’l passo.
fra gli strazi e le morti
Straton, Lucio e cent’altri,
già tuoi ministri, or sono
È vero, è vero. Io volli,
fia sicuro il tuo impero.
E poiché tu m’insulti, (A Massimiano)
signore, alla mia offesa;
l’autor di tanti eccessi.
Signor, comune è il torto,
Sien tuo scudo e tua speme
cauto osserva; ed assolvi
posson gli empi accusarlo.
Mia scusa è la mia stella.
s’io non son la tua bella,
Or di lei, moglie augusta,
È mia legge il tuo cenno.
Da questo foglio, augusta,
(Qual foglio in man di Fausta?)
Sul rischio del mio sposo
Di una carta innocente...
Soffri che a te si taccia
quella, che il cor ti rode,
Prendi. Leggi; e poi dimmi
Questa è carta innocente?
Parla in Licinio il zelo.
abbiamo un gran sostegno.
Miglior tempo n’è d’uopo.
Non sa le nostre e nostro
Fausta, tua figlia, anch’ella
forse, signor, ti fanno...
l’augusta figlia? In questo
Signor, la sua virtude...
Massimian. Ben m’intendi.
qui l’attendo e m’assido. (Siede Massimiano)
che il tuo amor qui risplenda.
tu ancor la sua innocenza;
T’inganni. A te lo giuro,
Più dir non mi è permesso.
Signore, ancor ten prego,
Il colpo mi sorprende. (Si leva da sedere)
Chi dal trono una volta...
Fausta or favelli. È tempo
Che fai? Che non rispondi?
Sinché un tiranno estinto
So parlar quando io debbo
Fa’, signor, ch’ei non tardi.
che in te di augusto all’ire,
quello ch’era un tuo dono?
Traggansi gli empi altrove.
Leone è un reo che mente.
Signor, non perché dubbia
Costantin, quel suo duolo
Deh, se l’empio destino... (S’inginocchia)
Sorgi. Indegno di augusta...
ne fien la scena. All’opra
dal giudice ha lo scampo,
(Mio timor, tu mi uccidi).
T’intendo. Egli è Licinio.
Parla; salvo il vorresti?
Licinio è il mio spavento,
deggio un pronto soccorso.
Pensier ch’ora mi accendi,
(La turba il suo rimorso).
Veglia tu stesso e parti.
al mio labbro, al mio seno
Là dentro mi attendete. (A’ soldati, i quali entrano nel gabinetto)
Emilia, a che queste armi?
(A che qui Albin con Fausta?) (In disparte)
(Quali proteste ascolto!)
(Tradito onor di augusto!)
Ti bacio; e in te mi affido.
Se il ciel mi arride, aspetta,
(Oh dio, qui ’l genitore!)
Su, parla. Di’, chi sono?
Ma come in quelle stanze?
Chi ti chiuse in que’ lacci?
di Emilia il falso amante,
Il veleno mi uccida. (Prende il veleno)
Con l’armi e con l’inganno
Perdona, o Fausta. A’ ceppi
Vuoi di più? Tel protesto,