tosto s’impugni il ferro.
Principe, e qual fra tante
le vie occulte di quella,
Deh! Conserva in te stesso
Propizio il ciel ci arrida.
numi, sia vostro impegno.
alma a le stragi avvezza,
se uccisor de’ miei fidi,
vieni e gli ultimi avanzi
farmi rea de’ tuoi falli?
Olibrio è ancor lontano...
Teodelinda, il tuo labbro
stan custodi e non servi.
Se più indugi, il disperi.
Che farò? Che risolvo? (In atto pensoso)
(No, non m’inganno, è desso. (Sopravviene in disparte)
Vanne; digli che, in questo
non vi turbi improvviso. (Si ritira)
De’ tuoi rischi e de’ miei
(Che fia!) Parla. (In Olibrio
Placidia, io ben m’avveggio,
qui vengo. A me prescriva
De la mia sorte (A Placidia)
Chi regna in sul mio core
sono indiscreti o audaci.
L’odierò, sia qual vuole,
più che lo sdegno. Olibrio...
Quale amator t’hai scelto?
costui, perché tuo servo.
non può farmi incostante.
Addio. M’oda il tuo duce.
tu se’ tutto il periglio.
Principe, andiam; che indugi?
Ama a tua voglia e spera.
Io, cui non d’alghe o d’onde
al mio servaggio ascrivo.
Prendine, egli è ben giusto,
tutto il fasto e la gloria.
Sì, in Placidia vi addito
Vi sento, o d’alma amante,
fra queste mura. Incontro
gli contende i trofei, (A Teodelinda)
lo vedrai ne’ miei ceppi?
Ten vanti in Roma; ed egli
ti attende al campo. Eh! Vanne.
Non è sì lieve impresa (Si avanza)
Quanto mi costa, o prence,
Per pietà del tuo amore (A Placidia)
né ’l rendo a te. Placidia,
da’ grazie a la tua sorte
tutti gli argini al pianto
su la vita ho di Olibrio.
Barbaro... Ah! Teodelinda,
Il mio sposo è in periglio.
Cor mio, pende di Olibrio
Gran duce, a te da’ ceppi
Ma pria ch’io vada, a lui
Prendilo, l’apri e ’l leggi
quando e’ torni dal campo,
dal tuo cenno il suo fato.
Partite (Le guardie si ritirano)
voi pur, guerrieri. Il tempo
Vado e tu resti? (A Placidia)
Di’ che, se bene oppressa,
e aggiugni ch’ei si mostri
E se il ben ch’e’ possiede
(Sorgete, o mie speranze).
quanto in lui si racchiude.
L’accetto. Or l’apri e leggi.
«Ad Olibrio, cui rende (Legge)
Or va’, spergiuro. Vanne,
Chiede il campo i tuoi cenni.
Bella, a l’uopo de l’armi
son rea, perché a’ suoi ceppi
perché ad un’alma ingrata
(L’ottenne tuo malgrado).
Sia infedel, pria che parli
Essa mel diè poc’anzi. (Ricimero legge)
Odio Roma e ’l tuo orgoglio.
Ferma, Placidia. Un nuncio
il tuo amor. Qui le nozze
Aspetta almen ch’ei parli.
Nozze di Teodelinda? (A Ricimero)
Crudele, io vado in campo.
(Cieli! Chi mi consiglia?)
L’offerta accetto. Addio.
Ver noi si avanza e chiede
Massimo, al campo e ’l muovi.
S’occupi il monte. A fianco
Sì, a l’armi; ma se chiedi
Quel non vuoi, perché amante.
non vile in fra que’ goti
Tu, che mi fosti ingrato,
meco esser puoi spietato.
Non pensar che qui spinto
guerra ti apporto, e guerra
da imporsi al vinto. Olibrio,
diasi il perdon. Tu vinto
A l’armi. (Svelgono le due aste)
Sii tu mia sposa. Olibrio
Crudelissime stelle! (Olibrio avrà in mano la spada di Ricimero)
del tuo orgoglio schernito,