Ruoti or la falce e tronchi
Tu serba il tuo; ma ’l serba
Due gran beni a voi lascio,
prendi. Su questo foglio,
chiuso dal regio impronto,
Manco... Nel nuovo erede...
Lasciare il trono? Ah! Prima
Vo’ ch’egli abbia ’l diadema
Sivenio, io so che offendo
un rossor che assai parla;
Dillo amor; dillo orgoglio.
Al mio seno anche intatto
tardo si accorra; e giovi
Che rispetto? Che d’uopo?
Vuol la legge e vuol l’uso
che preceda il tuo assenso.
Sposo, Teuzzon, mia vita, (Risvegliandosi)
chi dal sen mi ti svelle?
più che mai fido e amante,
tremo ancora al gran rischio;
il maggior de’ miei beni,
Poi quando alzato m’abbia
vieni, sposa, ed accresci
tutto, tutto il mio orgoglio
(Siete in porto, o miei voti,
Vedrai di chi ’l contenda
lascia ch’io teco adempia
Teuzzon si avvisi e cerchi...
Miei fedeli, si taccia (A’ Tartari del suo seguito)
Principe, or ch’egli è morto
può passar questo scettro
Questo, o principi, o duci, (Si leva in piedi ed ha in mano il testamento reale)
chiuso dal regio impronto
Già l’apro e ’l leggo; udite. (Legge)
Viva. (Al suono di trombe Zidiana ascende sul trono)
Anche in femmina han sede
non fa ’l sesso ma ’l core.
Pia, giusta e tale insomma
Principe, e che più badi? (A Teuzzone)
In che errai? Quando offesi
E a te, perfido, basti (A Sivenio)
tu osserva il prence e quanto
nacque col maggio il mondo,
Ubbidirò qual deggio. (Parte)
Tu, s’egli è ver che tanto
che più scosso è più greve.
ciò che in retaggio ei chiede.
Va’; digli... Ah! Che assai dissi.
Ho vinto, fidi, ho vinto,
Andiam; più che al cimento
Le tue condanno ah! troppo
E che? Vuoi tu ch’io ceda?...
ch’anch’io pugni al tuo fianco.
e fra’ rischi e le stragi
non vi fosse altra morte,
Mio caro, ah! non fia questo,
più degno ad abbracciarti;
spirto amoroso e sciolto,
Parte il mio sposo, Argonte.
nuncio a me di sua morte,
Dei, s’egl’è ver che vegli
Non più amor, non più trono.
Miei fidi, ite e là, dove
fui di Teuzzon; ma giunsi
Né gl’esponesti alora?...
Mia sovrana, a’ tuoi voti
Ma del prence che avvenne?
Salvisi il prence e basti
Va’, tu ne sia ’l custode;
Ma del mio amor, regina...
Qui tosto il reo si guidi. (Alle guardie)
nol vogliamo anch’estinto.
Da sé stesso alfin muore,
e al suo voler t’inchina.
Teuzzon, per te del regno
chi le condanna. Io taccio,
Voi, che del vuoto soglio
Dov’è ’l tuo amore? (Piano a Zidiana)
Ecco il fatal decreto. (Le presenta la sentenza)
Colà ’l deponi. (La fa deporre sul tavolino)
(Alma, non v’è più speme).
Sì. (Va al tavolino e, presa la sentenza, la legge sottovoce)
Ma del caro tuo prence...
Egaro, ahi! qual rossore?
O d’amar lascia o ardisci.
che sia amante del figlio
tutt’anche il mio furore.
Di’, vuoi soglio o feretro?
Mi vuoi giudice o sposa? (Osservando Zelinda)
Sciegli e pieghi il tuo fato
Amabili sembianze (Astratto verso Zelinda, senza badare a ciò che gli dice Zidiana)
onde speri il tuo affetto?
Meglio ancor pensa. Ancora
Co’ tuoi tartari al cenno
Vien Cino. Anzi ch’io vada
Troppo è ’l soave oggetto
ne son tutto il sostegno.
Né fu ’l labbro mendace. (A Sivenio)
non sarò a voi. Di entrambi
Di Zidiana, che or regna,
Ecco, Cino, ecco il frutto
Ma tempo è ancor. Risorgi,
che il tuo cor si fa gloria
Questo è ’l sol tuo comando
non puoi, t’infingi almeno.
trarrei da un vile inganno,
Crudel! Più non si oppone
Vuolmi ei nemica o amante?
splende in lieti apparati,
v’è un momento. Tu stesso
N’uso in mio pro. Zidiana,
E tu, che hai de’ miei casi (A Zelinda)
dammi un supplicio in dono.
Perfida, or l’arte intendo.
resto fra noi. V’è un certo
eseguiscasi il cenno. (Ad Egaro)
che unir si dee. Col vanto
Ed è in costei ben giusto
Quella che a me promessa...
Che più? Siasi qual vuole,
Fa’ pur, fa’ che s’intinga
(Qui sciagura è ’l trionfo)
Se de’ miei falli, o sire,
l’idea cancelli, io tutta