Metrica: interrogazione
92 ottonari in Venceslao Torino, Gattinara, 1721 
   Comun bene, amica diva,
bella Pace, ognun ti onori;
ed all’ombra degli allori
cresca ognor tua verde uliva.
   Viva il prode, Ernando viva.
   Celerò la fiamma ond’ardo;
non dirò qual sia lo sguardo
che m’impiaga in seno il cor.
   Cercherò nell’ubbidirti
e ’l conforto al mio dolor.
   Per serbar le leggi in me (Aria)
   né sperar, benché sei figlio,
   Ti consiglio a far ritorno,
   Col piacer che siate miei,
   Da voi parto sì contento
che in lasciarvi più non sento
   Non amarmi, non pregarmi.
   Armi ha il ciel per gastigar (Aria)
l’empietà su regie fronti;
   e più spesso ei fulminar
suole irato e torri e monti.
   Così ancor quell’ape il mele
or da questo or da quel fiore
   e se mai quel dolce umore
da un sol fior fuggir volesse,
   Parto amante e parto amico,
   Se nol credi o te ne offendi,
la fortezza di quest’alma,
   Più fedele e più amoroso
   Ei dirà: «Mia cara vita,
ti ho tradita e ti amerò».
   Parto, o re; non osa il labro
dirti: «Addio, mio genitor»,
   perché troppo il dolce nome
   Son qual fida tortorella (Aria di Lucinda)
pietà chiede all’aure, al vento.
   Pure alfin l’amante core
   Date morte... Ah no! Fermate
                      Abbraccia...
                                              Questo petto...
                           Mio diletto.
   Senti, senti questo core,
come immenso è in lui l’amore,
sommo ancora è ’l suo piacer.
   Sarà gloria a la costanza
non dà luogo a un fier martire
   L’arte, sì, del ben regnar
   Può languir l’ira nel petto,
può cessar ogn’altro affetto

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