ma serpendo mi va in seno
nuovo cruccio al mesto cor.
or qual fia che a più crucciarlo
vien sospetto e vien furor?
e in sostegno del rispetto
Guai per te, se tu sei quella.
Strapperò dal sen quel core
e ancor caldo, ancor fumante
dono infausto, il recherò.
Sarà questo il fin funesto
di quel vil superbo amore
spiegò l’ale e l’insidiò.
Nol volea; ma sono astretto.
Cedo a forza e cangio affetto.
Vuol così la sorte e ’l padre.
corra omai la regal madre.
L’augellin posa in quel ramo.
Beve il cervo a quel ruscello
e ogni cor sol per quel bello,
che a lui piace, arde d’amore.
si destasse in noi l’affetto,
M’intendesti? Che vuoi far?
sii fedele. E poi chi sa?
resta almen qualche speranza.
Solo il mio sperar non sa.
Segui pur il tuo consiglio,
sposo ingiusto, iniquo figlio.
Il mio ancora io seguirò.
l’innocenza del mio amore,
no, tradir non lascerò. (Entra in una tenda vicina)
Occhi bei, voi mi vedreste
arso il cor dai vostri rai,
se in me cor trovato aveste,
quando prima io vi mirai.
Nel piacer del vagheggiarvi
mi ritrassi e sospirai. (Presa per mano Apamea si incammina con essa verso la città e Dorilao entra nelle tende, seguito dai soldati)
Non dovrei... Fuggirmi, ingrata?
Non dovrei... Lasciarmi in pianto?
Non dovrei più amarti tanto
Ma son facile al perdono,
quando intendo un sol sospiro
altro ben, se non ch’ei viva.
benché voglia amore e fato
ch’io l’adori e ne sia priva.
Sì. Vorrei, mio solo amore,
sol col dirlo, o dio! languir.
Dimmi il vero, or che siam soli;
Di’ se piangi il ben che perdi
o se è ver che ti consoli
e poi Marte i suoi furori
svegli a l’armi e intuoni guerra.
e poi Marte i suoi furori
svegli a l’armi e intuoni guerra.
Da l’Arasse e da l’Eusino
scenda il turbine e vicino
tu ’l paventa, ausonia terra.
Bel veder per la tua gloria
te de l’Istro in su la riva
star, gran Carlo, e nol varcar.
che ti chiama e che ti aspetta;
né tu ’l vuoi, sì ti diletta
più che al mondo, a Dio regnar.