e quell’altra è la serva in verità).
parti, o Lucindo, e non cercar di più.
Del mio fato il tenor svelami tu.
Parti, o Lucinda, e non cercar di più.
mi devi dir se mi ravvisi tu.
Parti tu ancora e non cercar di più.
Perché Ernando è vassallo ed io son re.
più grave offesa è a l’onor mio.
Erenice è vassalla e tu sei re.
(Ci ha indovinato). A me paura? A me?
Rispondi a me su quel ch’io ti dirò.
Gerilda, oh dio! non più.
se non è un forte amor, ti stringe a ciò?
Giuro che non è amor. Che sia? Non so.
se non importa, molto importa a me.
e sarà d’altro sposa in questo dì.
si stringe il nodo ma con chi non so.
sempre nel suo dover salda è la fé.
Giove, non pensar già (A Gerilda)
Vieni pur meco ch’io ti pagherò.
e, se vedrò ch’abbia di me pietà,
Larà lallara, larallalà... (Si pone a ballare, accompagnandosi con la voce)
ch’io sento del tuo mal somma pietà.
Larallarà, larallalà. (Balla)
e dammi Gildo mio per carità.
Hai di bisogno, poveraccia te,
di mastro Giorgio molto più che me.
perché al veder sei matta più di me.
l’ire a cader? E su te cadran, su te,
misera patria e miserabil re!
ciò che può la giustizia in cor di re.