con le rose un dolce amor.
tutto senta il sen l’ardor.
de’ popoli la fé. (Si profonda la reggia e dà luogo alla gran piazza di Palmira, dove si comincia la rappresentazione dell’opera)
fu ’l bel, che m’invaghì.
tutta immersa io troverò.
l’ira e ’l duol n’espugnerò.
ciò che a te di lei narrò;
con lo stral che il tuo ferì,
il suo petto ancor piagò.
o di estinguere il tuo ardor.
un gran nome ed un gran cor.
Sorte ria, che vuoi di più?
Vuoi ch’io parta? Partirò. (A Farnace)
Vuoi ch’io resti? Resterò. (A Decio)
Ma vendetta io vuo’ da te. (Or a l’uno, or a l’altro)
So che in sen tu vanti fé. (A Decio)
de’ suoi doni in lei mostrò. (Guardandolo attentamente)
nulla manca al mio goder.
s’è seggetta a un vero amor.
né l’alletta altrui favor.
Luci belle, io v’amo, sì;
altro non è l’amor che un bel servir.
darò pace al geloso furor.
trar saprò da quel petto quel cor.
non conviene e non si può.
prova gl’altri un giusto re.
che mi ha piagato il cor.
e più fier chi mi oltraggiò.
la mia sorte e ’l mio dolor.
qui rimanti a vagheggiar.
non partir, mio ben, da me.
il tuo impari a ben amar.
ch’io vi torni ad irritar.
troppo acerbo il mio penar.
Che bel morire se morirò,
Più bella morte darmi non può
quella speme ch’ella dà. (Vanno a sedere nell’anfiteatro che tutto si riempie di spettatori)
ma lo perdi per esser crudel.
che il contento di sposo fedel.
che verrà, mio ben, da te.
nuovo error sarebbe in me.