sì grande acquisto. Appena
o ti irrita o ti offende,
cor che a difender basta,
Marzio, costei che ha tutta
Marzio, a te qui l’affido,
il cor più che il sembiante;
voti di ossequio e saggio
Nacquer da voi, begli occhi,
perdo il dì; manca il senso;
lasso anch’io dalla pugna
non tardo accorro e a morte
Principessa, a’ tuoi lumi
Son Scipio; e benché cinto
Gli amici di Scipione (Si ritira indietro)
nome è Tersandro; e il primo
Quindi in usbergo e scudo
disio di gloria. Il veggo
Gran virtude ha Scipione,
Già fra’ miei voti incerto,
Orror ne ha il sangue; e teme
Intendo, Elvira, intendo.
Spiace in Marzio l’amante,
con offrirti il mio nodo,
Troppo ti abusi, ingrata,
da peggior mal. Su, vieni
Ah! La sua morte a’ ceppi
m’insegni ad esser forte.
Ecco il sen. N’esca l’alma,
Lo veggo e il sento. All’onta
che a lui chiese la morte
Marzio pur sono. Io lauri
cieco è nell’ira. A Marzio
Ora è giusto, o Cardenio,
Custodi, (Si allontana e parla alle sue guardie)
Quel che ti pende al fianco,
Ma chi può amar Scipione,
Vieni, Tersandro. Il prence
Godo che sciolto ei vada;
Tersandro, di’. Fia questo
E tu, Marzio, in Scipione
che il tuo consenso. Lascia
un nodo a te dispiace?...
si appressi ad una face...
Gran virtù, se in Tersandro
Non ti aggravi, o Tersandro,
Prence, che mi si chiede?
Né langue in lui la fiamma
e tuo acquisto anche sia,
tu segui il calle. Anch’io
contrastarlo ingiustizia.
vanne e fa’ ch’io non provi
Luceio è il mio conforto.
Sciagure? E tu le arrechi?
perché almen fra due morti
l’ultima sorte, amico. (Luceio si avanza verso Scipione e Sofonisba sta come in disparte)
A’ miei preghi, al tuo merto
Tersandro, onde quel pianto?
Vive Luceio? (A Sofonisba)
Quegli tu sei che all’onde
Parmi sol nel tuo aspetto
So qual sei, qual ti fingi
(Ecco l’ingrata. (Si ferma in disparte)
(Tacciasi e non si esponga
e nel tuo sangue, uom vile,
Signor, cotesto è il vanto
Signor, se al tuo gran core
Un ve n’ha che al tuo cenno
non si stende il comando.
ti accompagni e ti segua.
Cresce il tumulto. A Marzio
L’abbia e venga sicuro. (Si parte il soldato)
Me felice, se posso (A Sofonisba)
e quel capo, che un giorno
Tu il difendi e si salvi.
Venga Elvira. Tribuno, (Alle guardie)
Principi, in poter vostro
Grave n’è il prezzo. Io stesso
Signor, non v’ha periglio
sicura il guidi. Il campo,
Luceio il piè mi sciolse;
da un sospetto sì ingiusto
che minaccia il tuo capo.
questa volta esser vinto.
Se più indugio, ti perdo.
Marzio, e rispondi. Elvira
Godi tu fortunati (A Scipione)
Tu perdona al mio core, (Ad Elvira)
Colà ti arresta; e quando (A Luceio appiè del ponte)
E ispano aggiungi. In grave
Va’. Ti scortino i miei. (A Luceio che si viene avanzando)
in me i colpi, in me l’ire. (Dà di mano alla spada)
O smanie! O furie! O mostri!
E tu, ch’armi la destra, (A Luceio)
(Qual gel m’occupa l’ossa?)
Sì, a quel piè lo gittate
abbia arbitrio e ragione.
quel Marzio contumace (S’inginocchia)
(Gare che son mio affanno).
Son pago. (Ancorché ispana,
Pari n’è il vanto. Or solo
ne annodi anche le destre;
tu il dacico... E chi puote
talché forza è in narrarle,