Scipione nelle Spagne, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA XIX
 
 SCIPIONE e i sopradetti
 
 SCIPIONE
1065Che miro? Olà. Cotanto
 di mia bontà si abusa?
 Contra un tribun l’ira si volge e il ferro?
 LUCEIO
 Questo ferro è tuo dono;
 né mi credea la prima volta in petto
1070roman vibrarlo. A questa
 necessità mi trasse
 il decoro di Elvira, offeso a torto.
 MARZIO
 A torto? Odi e l’ibera
 virtù ammira, o Scipion. Costei, che altera
1075ributtò le mie fiamme, a quelle avvampa
 che le accese nel sen face plebea.
 Vedi, vedi in Tersandro
 il suo amatore, il mio rival. Lo neghi,
 se il può, l’ingrata. Io qui l’udii, né l’ira
1080valsi a frenar.
 SCIPIONE
                            Tanta viltà in Elvira?
 Parla.
 ELVIRA
              (Tacer mi è forza. Amor tiranno!)
 LUCEIO
 Io parlerò. Viva la fama, o duce,
 di vergine real. Viva anche a costo
 del sangue mio, della mia vita istessa.
1085Ama Elvira, il confesso;
 ma quell’amor, che le riscalda il petto,
 non è indegno di lei. Sa qual si asconde
 nel mentito Tersandro illustre oggetto.
 Sa qual ei nacque e sa ch’ei nacque al trono.
1090Sì, lo sa Elvira e seco
 Marzio il sappia e Scipion. Luceio io sono.
 SCIPIONE
 Tu Luceio? Di Roma
 tu il fier nemico?
 MARZIO
                                   E se quel sei fra poco
 ne pagherai la pena.
 ELVIRA
1095(Egli l’onor mi salva e il cor mi svena).
 MARZIO
 Signor, cotesto è il vanto
 dell’ispano valor, mentir sé stesso;
 ma se impunito al fianco
 vorrai soffrire il tuo nimico e il nostro,
1100Roma nol soffrirà. Vanno anco inulte
 mille e mille del Lazio ombre guerriere,
 per lui cadute. Al campo
 vuolmi il mio zelo e la comun vendetta.
 Tronchisi ogni dimora;
1105e si acclami colà: «Luceio mora». (Si parte furioso)