pur giacque e chiude un’urna,
Questi ancor cadde; Asmondo,
La scelta è in poter vostro;
Sia re chi più n’è degno;
ma più a te stesso; ed ora
al vostro, al mio regnante
Ildegonda anche applaude,
Col lieto avviso accresco (A Roderico)
la Dania, ond’ella parte.
son del più forte; e scopri
Pria che il giorno tramonti,
l’avrà la reggia. Al grido
fia che gema e si asconda
saggio e forte ugualmente,
Torilda i giorni estremi;
né altre leggi ha la Frisia,
Svegliati, o forte sdegno
ne avrà la destra. Eh, parla
se, d’allor che mi offristi
l’antica fede; e al trono,
Quel trono, che rammenti,
Se parti, oimè! qual resto?
Stelle, fra due gran beni,
Amo un cor, bramo un trono.
Braman dunque altro impero?
E s’ei vivesse... (Oh cieli).
mi giurai sposa; e questi
E perché egli vi ascenda,
Troppo onoro il tuo merto,
Offerta allor che splende
Io, contro il lor sovrano
Ecco il prence infelice. (A Svanvita)
Torni Asmondo alla reggia.
con l’onta di un disprezzo.
maggior periglio. Asmondo,
Partì offeso il gran duce.
Che può l’odio impotente?
Mio re, mio sire, io sono
questa tua brama. È giusto
ond’è oppressa Ildegonda.
te stesso e la sua spene.
Tutti già ingombra i lidi
saran gioie a’ tuoi fidi,
Numi, che custodite (Tenendo alta ed ignuda in mano la spada)
la fé de’ tuoi. T’inchina
Guerra, sì, ma con l’armi
(Stelle! Che far degg’io).
ma più il mio cor ch’è forte).
Che dirò). Quegli, o sire,
Svanvita è offesa; e seco
Chi è fedel a Svanvita (Verso i danesi)
Il ciel vuol che si adopri,
perch’ei dia leggi al regno,
scioglier non dee quell’alme
(Sia pena a quell’ingrata
Vi andrò; teco fra queste
del mio illustre consorte.
Tu anche amasti Ildegonda.
s’altri amai che te stesso;
Svanvita, un re non soffre
disprezzo a chi ti adora.
Sarà, vel giuro, affetti,
Che più? Ne avrà la vita,
in queste luci, in questi,
Egli ancor preme il soglio.
al regio sangue, al sesso
che gli disarmi ’l braccio.
dal trono allor che a quello
Asmondo, allor che al fato
(Non si creda a lusinghe).
(Costanza, o miei timori).
Custodi, in chiusa stanza (Vengono le guardie e circondano Asmondo)
Qui attendi. (A Regnero su la porta del gabinetto)
risponde Olao. Sii moglie
Vivo il campo lo acclama.
Scoprasi; e avrà, lo giuro,
Del tuo vanto, che ancora
Parla e fa’ che mi accolga
questa reggia il rispetti.
mi educò in vile albergo,
E del mio cor l’impero...
Entro fredd’urna ei giace;
Che puoi temer, se parli?
(Tu stai penando, o core).
benché Svanvita il neghi,
l’oggetto è del mio amore,
Lascia ancora... (A Svanvita)
Scrivasi e a pro del vero
di questo regno? (A Regnero, levandosi con due fogli, uno per mano)
Taci. E tu, regina, (A Svanvita)
che non so nel suo inganno
Troppo soffrii. Miei fidi, (Alle guardie che vengono chiamate da Roderico)
Lascia; saprò anche solo... (In atto di por mano alla spada)
Ubbidite al comando. (Alle guardie)
l’armi ha già prese. In breve
Ma quando io torno, in lui
Tacciasi. In questa reggia
A sì gran prezzo abborro,
non che il regno, la vita.
la man che l’alzi al trono.
col temerlo, il periglio.
Taccia l’ira. Io ti soffro
non si cede un gran bene.
Ardisci e, sin che incerto
Signor, s’inoltran l’armi.
Vano è l’ardir. Cedete. (All’arrivo di Sigiberto se gli oppongono i norvegi che restano incalzati da quelli che sopraggiungono)
Poiché giunse al tuo piede,
Regnero è il duce? (A Svanvita)
per vostra gloria. Scenda
di Gozia il regal sangue.