l’ira de’ grandi, Arsace.
Tu in me ti affida e speri
veder lieto il tuo ciglio?
Figlio, amato mio figlio,
Vincerò, poiché ’l brami,
Che chiedesti? Son dunque
Che io di te non mi dolga?
tu riposo a’ miei sdegni,
provan ch’egli odia il padre
o che gl’invidia il regno;
quel che mi muove a l’opra.
turba d’Antioco il duolo.
l’autorità, il consiglio.
per legge altrui ma spiega
(E ’l crede e sen compiace).
Che? Il piacer d’ubbidirmi
Ah! Troppo mal si accorda
Ch’io t’odi?... Argene? Io parto.
Vario nel sesso è ’l core.
il tranquillar quell’alma.
Venga, se Antioco il brama.
L’ira di Argene è giusta.
temo di Antioco il duolo.
non m’è ascoso il mistero.
Ah! Che dicesti? Un figlio?
(E fia Antioco sì ingrato?)
Nol credo. Anche a la vista
che il suo stato, il mio grado
Qual legge ora a’ vassalli
Mio principe, e tal deggio
veggan che il nostro ardire
a’ miei voti, a’ miei sguardi,
Fuggo il vostro soggiorno;
Son vinta e qui mi rendo.
Sorgi, Antioco, deh sorgi.
Quanto più del tuo sdegno
mi offende il tuo sospetto!
il tuo sospetto e ’l mio;
Richiama il tuo gran core.
Non vi affrettate. Anch’io...
(S’egli è reo perché mi ama,
Ecco a’ tuoi piedi il ferro,
Frena il folle consiglio.
Qual dolor? Quai spaventi?
sorpreso è ognun. Ne freme
Ma qual pallore? Antioco...
ne’ tuoi sdegni un periglio
che il giudice si plachi,
basta che il padre intenda
del mio amor, del tuo merto
Nol niego. Amo in quel prence
A te so quanto i’ deggia.
Non chiede il vero amante
di un amor che è mio fregio?
Io non ho forza. Al padre
Io dunque, oltre il rossore
No, non poss’io... Ma ceda,
Qual morte? Hai teco Arsace.
Tu, sì, tu aspiri al trono;
che se un figlio innocente
più orror che del mio fallo.
non traditor (A Tolomeo) ma forte
congiurano a’ miei danni.
Qui reo si prostra Antioco
col sapersi il tuo amore.
del padre, alor che il sappia.
Quando si chiede al padre?
In questo affetto ei serba
(Son perduta, son morta).
La tua pietade è ingiusta,
Di’ ch’egli uccise il padre
Perché non vai tu stesso?
vuol che Antioco si perda.
l’abbia ancor per la pena.
La mia fede, il mio core.
(Stelle, numi, soccorso).
Morrà, già dato è ’l cenno.
Io scelta al duro uffizio?
Che se, dopo il mio fato,
Nol riguardar, ten priego,
tra’ dolci abbracciamenti
che sin ne la tua reggia,
vuole il mio re ch’io cada?
più che nunzio, compagno.
quando ti giunga accetta,
e in questo amico amplesso
che mi trasser da’ ceppi,
non mi sia questo ferro...
la tua, non l’altrui vita.
Signor, almen per quella...
Or pria ch’esca dal labbro
più di quel che ti è noto.
(Perduta è la sua speme).
(Mi uccide il suo dolore).