Tosto, o servi, il più ricco
torrente. A la gran piena
Gianguir si oppose; il corso
Siasi; ma in me non pensi
chiudi, o sultan, l’udito.
Qual linguaggio è cotesto?
né il re in te né l’amante.
le gioie a noi. Lui salvo,
E in lui Cosrovio il padre.
Va’. Servi il tuo tiranno.
E questo ancor? Vi estinguo,
Che vuol l’ingiusto padre?
gli empi mi han tolto. Tutto
Con queste io fiamma accendo
che vuoi dirmi? Ah! Regina,
Intendo, Alinda, intendo.
ecco al mio carro avvinte,
vien la calma e ’l sereno,
Prodi, da un falso ancora
si ha vera lode. Il campo
trattinsi. Al fianco appesa
(E ’l soffro?) Su, a la pugna,
Il germano è in periglio.
Tua figlia in altro letto
Nieghi Cosrovio o assenta,
il suo voto e ’l suo orgoglio
O gioie! O dolci accenti!
Ceppi a Cosrovio o nozze.
Sì. Va’. Del mio Cosrovio
Odo il sultan. Qui intanto
buon consiglio è star lungi. (Si ritira)
vuol ragion ch’io ’l difenda
abbandono me stesso?) (In atto pensoso)
e in cimento anche finto,
Cedo. Vuoi più? D’ingiusti
condanno i miei sospetti;
e innocente ti abbraccio.
cui sedotto e’ m’astrinse,
Tolgami ad altro inciampo
(Perfido!) E ’l giuramento.
l’orror de’ tuoi spergiuri.
Tu taci? In quel silenzio
Sultano, io non ti offesi,
Duolmi un figlio accusarti.
Eccoti il regio impronto. (Gli dà il sigillo reale)
Mio Gianguir, in qual duro
varco sei posto! E forse...
la pervertì in mio danno.
giungono amiche. (Veggonsi in lontano le guardie reali in atto di avanzarsi. Allora volendo anche Gianguir por mano alla sciabla, Mahobet gli afferra il braccio con la sinistra; e alzando con la destra il ganzarro, sta in atto minaccioso di immergerlo nel petto di Gianguir)
Ah! Zama. (Riguardandola in partendo)
Sposo... O dio! (Volendolo seguitare, si ferma alla prima occhiata di Mahobet)
Più che a salvezza, a rischio
Partì a tempo. Il re viene. (Si ritira in disparte)
costoro? O son miei servi?
Oltre a l’Indo e al tuo Gange
È il mio, dove da insulto
ne la reggia il tuo zelo.
Già a le mura si appressa
Cosrovio; ed Agra è in rischio.
Rischio che è sol tua colpa. (A Mahobet)
Ma poiché esser ti piacque,
svelerai men guardinga...
a un lampo del mio ciglio
Qual pro? Tu nuncio almeno
Signor... Ma la gran porta
Qui ’l re. (Andando a Cosrovio)
che tra i nomi, che han grido
che mia bontà ti offerse.
Mio, sì. Quanto il tenesti,
di sprezzo, or d’odio il sei.
Padre meschin! Spogliarlo
qual sia vita e qual morte.
Tempo avrete, o bell’alme,
Tosto il segui. A lui sia
salvo; o darò al suo piede
fa ciò che il duol non valse...
sino ad altro comando. (Si avanza verso il re)
(Qui ’l duce. Rimembrando
Dirò sol che in te stesso
Da’ il perdon, se l’avesti.
Guardie, a me il regal seggio; (Partono due guardie)
il funesto apparato. (Vien recato a Gianguir il seggio imperiale)
O a’ miei lumi!... O al mio core...
funesto oggetto!... Ah! Quali
tanta strage che un cenno,
Giust’è. Sol manca a questa
Sì. Il più nobil suo fregio.
Partite; e de l’atroce (Le guardie tutte si ritirano in lontano)
tua rabbia. Al trono ascendi
che usurpo; e del mio sangue
Ah! Troppo offeso e troppo (S’inginocchia)
buon padre! Eccoti al piede
il tuo ferro. In me il vibra
al padre il ferro ignudo?)
Cosrovio, a qual viltade (Alla voce di Alinda, Gianguir rivolta la faccia e Cosrovio si leva)
m’era il lasciarti in vita.
Sia questo il nostro fato,
Pesa i tuoi torti e i miei.
questo ha di ben, che è breve.
dir ben puoi che sia giunto
non mi ottenne grandezza.
la pena e ’l fa il perdono.
sii in avvenir più cauto.
si applaude al nome augusto?
sa però che è ’l tuo core