Sostenerti ancor sul trono
vuol ritorti un sì gran dono,
per destin, non per viltà.
Dirò ad altri: «Mio tesoro,
ma con l’alma il dirò a te.
In amarti, o mio diletto,
tradirò per troppo affetto,
leggi impor dal soglio aurato;
puoi baciar bocca amorosa.
Non dar fede a vil timore.
Toglie amore, niega il fato
i suoi beni a chi non osa.
Spunta il sol; né ancora al dì
quel bel volto i lumi aprì.
Ma bei lumi, voi piagnete;
e quell’onde che spargete,
ingemmando l’erbe e i fiori,
sembran pianti e son tesori.
Mi usciria per gran diletto
fuor del sen l’alma e la vita;
ma la sento al cor più unita
ne lo stringerti al mio petto.
Non mi uccide il mio contento
perché teme il tuo dolore;
Da uno sguardo del tuo ciglio
Ei mia guida, ei mio consiglio,
Se regnar vuoi col mio affetto,
Ho per brama il tuo diletto,
ho per alma il tuo voler. (Si ritira in disparte con Argonte e tartari)
E ’l maggior de’ vostri figli,
ombre avite, ombre immortali,
di onorar non v’arrossite. (I sacerdoti e sacerdotesse cinesi incominciano un’allegrissima danza)
Sarai mio; (A Cino) (lo dico a te). (A Sivenio)
(E a chi parlo amor lo sa). (A parte)
Tu mio sposo e tu mio re,
servi al fasto ed a l’ amore.
(Sol chi regna in sul mio core, (A parte)
meco in trono ancor godrà). (Entrano nella città)
Alma, al pianger troppo avvezza
Certa già di tua grandezza,
o men credi al tuo timore
o più senti il tuo piacer.
Col mio labbro giura il campo...
Giura Cino e giura il regno.
Chi ci elegge in re la legge,
sarà il giusto e sarà il degno. (Tutti vanno a sedere a’ lor posti ed il trono rimane vacuo)
Io vassallo? Io giurar fede? (Levandosi con impeto)
Non si serva con mia pena
Vaga fronte, ch’ostro cinga,
può dar crollo e far lusinga
Sparsi a l’aure ite, o vessilli;
date il segno, amiche trombe,
svegli in altri orror di morte
e in voi desti amor di gloria.
Morte vuoi? Va’ pur, crudele;
A’ torrenti da quest’occhi
scoppi in lagrime e trabocchi
tutto il sangue del mio cor.
de la tema e de l’affanno,
se non meta, almen ristoro.
Prenda il cor nuova baldanza
e ormai rechi un dolce inganno
breve pace al mio martoro.
rinfacciando a l’empio il torto
ch’ei mi fece in disprezzarmi.
Ed ei forse avrà più pena
il piacer che ho in vendicarmi.
Non più teme, non più orrori,
godi, esulta, abbiam poi vinto.
Pria di ferro e poi di allori
sì bel giorno il crin ti ha cinto.
Tempo è già di armarti, o core,
Prova sia di mia innocenza
Chiara prova ancor ne sia
ch’io la possa acerba e ria
Troppo offendo il bel che adoro
ed accresco il mio martoro,
se il mio ben credo infedel.
son ingiusto al suo bel core
A che tanto in voi di sdegno,
e sul regno e sul mio core?
Col mio ben in dolce nodo
che la speme non par brama
Quanto costi al mio riposo
empia brama, ingiusta spene?
Sorte infida e amor geloso
mi spaventa e mi dà pene.
Benché io l’ami, soffro in pace
che tu adori il bel sembiante.
Al mio ben non son crudele,
fa più merto al più fedele,
se ha beltà più d’un amante.
Deh! Mi lascia un cor più forte.
Io pietà di me non ho. (Zelinda in atto di partirsi è fermata da Zidiana)
Quest’amplesso a la mia sposa
sol per lei vado a morir.
Dille poi che a me non dia
nel bel sen morte più ria
Al dispetto del mio duolo,
Io mi veggio in fra catene;
il mio bene è presso a morte
e sia credula o sia forte
non vuol l’alma disperar.