Metrica: interrogazione
90 ottonari in Mitridate Vienna, van Ghelen, 1728 
   Ei penò finor negletto;
or qual fia che a più crucciarlo
   Guai per te, se tu sei quella.
Strapperò dal sen quel core
e ancor caldo, ancor fumante
   Sarà questo il fin funesto
spiegò l’ale e l’insidiò.
   Nol volea; ma sono astretto.
Cedo a forza e cangio affetto.
Vuol così la sorte e ’l padre.
   Le sì torbide sue ciglia
   L’augellin posa in quel ramo.
Beve il cervo a quel ruscello
e ogni cor sol per quel bello,
che a lui piace, arde d’amore.
   Se da forza o da comando
si destasse in noi l’affetto,
   M’intendesti? Che vuoi far?
sposo ingiusto, iniquo figlio.
no, tradir non lascerò. (Entra in una tenda vicina)
   Occhi bei, voi mi vedreste
   Nel piacer del vagheggiarvi
mi ritrassi e sospirai. (Presa per mano Apamea si incammina con essa verso la città e Dorilao entra nelle tende, seguito dai soldati)
   Non dovrei... Fuggirmi, ingrata?
Non dovrei... Lasciarmi in pianto?
   Ma son facile al perdono,
altro ben, se non ch’ei viva.
   Viva, sì, l’idolo amato,
ch’io l’adori e ne sia priva.
   Sì. Vorrei, mio solo amore,
   No. Mi fai già di dolore
sol col dirlo, o dio! languir.
   Dimmi il vero, or che siam soli;
   Di’ se piangi il ben che perdi
svegli a l’armi e intuoni guerra.
svegli a l’armi e intuoni guerra.
   Da l’Arasse e da l’Eusino
tu ’l paventa, ausonia terra.

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